17 minuti pieni di fake news

Il discorso del presidente uscente Trump è stato interrotto e smentito da numerosi media statunitensi. Ma come nasce una fake news e cosa può provoca nelle nostre vite?

 STEFANO CALVANI
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In 17 minuti, Trump ha fatto molte affermazioni imprecise sui conteggi in diversi stati e sul voto per corrispondenza in generale”. Così si legge nell’articolo redatto da cinque giornalisti di PolitiFact riguardo alle dichiarazioni di Donald Trump della notte del 5 novembre in cui si parla dei presunti brogli elettorali che avrebbero portato alla vittoria di Joe Biden e della sua vice Kamala Harris alle ultime elezioni americane. I colleghi di PolitiFact hanno rintracciato in quel discorso numerosi casi di disinformazione.

Inoltre Donald Trump, durante le sue dichiarazioni pubbliche, è stato smentito in diretta da numerosi network televisivi statunitensi. Molte delle sue dichiarazioni sono state giudicate “senza alcuna prova” (without any evidence).

Fact-checks: il ruolo dei media

Nel clima post elettorale i media hanno svolto (e stanno svolgendo) un lavoro prezioso. Hanno avuto il coraggio di interrompere e smentire le dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti, poiché ‘senza alcuna evidenza’. Eppure questa vicenda ha il sapore di essere, a mio avviso, una grande fake news fin dall’inizio, fin da quando il Presidente si è presentato di fronte ai microfoni nella notte del voto dichiarando la propria vittoria, anticipando già il fatto che si stavano consumando dei brogli. Senza alcuna evidenza, continuano a ripetere i media. Da questo punto di vista è arrivata anche la posizione di Ellen Weintraub, commissario della Commissione elettorale federale, secondo la quale  “non ci sono prove di frodi”, secondo quanto riportano il Corriere della Sera e la CNN.

Come nasce una Fake News

Sono partito dall’attualità delle elezioni americane per rendere in maniera limpida quel che potrebbe generare il diffondersi di notizie "senza alcuna prova". Pensandoci bene potrebbe capitare anche a noi nel nostro piccolo, magari aggiornando la sezione “notizie” di Facebook oppure navigando sul web, cliccando su qualche banner quantomeno ingannevole. La nostra realtà ci stordisce di informazioni di qualsiasi tipo. I social network ne sono pieni, senza parlare poi di tutti quegli spazi, a volte gestiti un po’ a sproposito, in cui ci si dovrebbe ritrovare perché accomunati da un argomento comune, una provenienza territoriale o quant’altro: i famosi gruppi. Mi è capitato pochi giorni fa di essere apostrofato, proprio in uno di questi gruppi, con l’aggettivo “stampa venduta”. Tutto questo accadeva sotto ad uno dei tanti, molti post fuorvianti sul tema del coronavirus.

"Senza alcuna prova"

Attenzione! Non visto dicendo che gli unici che posseggono la verità siamo noi giornalisti, anzi. Il mio è un appello a diffidare. A diffidare dei giornalisti quando è necessario, a diffidare di informazioni provenienti da una fonte incerta (un gruppo Facebook, ad esempio) oppure da siti internet o pagine non ben profilate. E soprattutto di aver cura dei contenuti che diffondiamo sui social, proprio perché un click spesso può generare conseguenze sgradevoli per gli altri e poi per noi stessi. A maggior ragione durante questa epidemia in cui le bufale si sprecano e le teorie del complotto si riproducono a bizzeffe without any evidence, come hanno ripetuto più e più volte i media americane. Senza alcuna prova.

Stefano Calvani

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Pubblicato il 8 novembre 2020

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