''Appena esce mi sposo, deve essere lui ad accompagnarmi''. Le parole per il padre in terapia intensiva
Alessandro è da 40 giorni ricoverato all'ospedale di Arezzo. Ogni sera la famiglia lo sostiene da lontano.
“Appena esce dall’ospedale, mi sposo. Deve essere lui ad accompagnarmi all’altare”. Sono le parole di una figlia per il padre che è ricoverato in terapia intensiva al San Donato di Arezzo. La figlia, Alessandra, ogni sera si reca in ospedale insieme alla madre Orlinda, alla sorella Sara Francesca e al compagno Matteo. Tutti appoggiati ad una staccionata di legno, con lo sguardo rivolto verso il malato che è distante 4 metri. Dietro la vetrata c’è Alessandro, 53 anni, il capo famiglia che ora è assente e sta lottando per stare meglio e tornare dai propri affetti.
Un affetto di una famiglia dimostrato con i fatti: “La sera ceniamo alla svelta, racconta Orlinda, poi veniamo qui. Tutte le sere. Arriviamo verso le 21 e poco prima delle 22 andiamo via. Abitiamo vicino all’ospedale ma rispettiamo il coprifuoco”. La figlia più piccola, Sara Francesca, parla con Alessandro anche se non può sentirla. “Gli racconto cosa ho fatto e cosa è successo. Ieri gli ho raccontato che ha riaperto il nostro gelataio”. La notte è il momento della giornata più difficile, nella paura che arrivi una telefonata dal reparto.
Alessandro è un uomo dai numerosi impegni: presidente nazionale della Federazione di speed down, una disciplina che si basa sulla corsa in discesa di mezzi privi di motore. Da 31 anni è assunto presso una ditta di impianti telefonici. Alessandro lo scorso anno aveva avuto dei problemi ai reni, con il bisogno di fare dialisi tre volte a settimana. Il 23 febbraio scorso, prima di effettuare una delle solite sedute, era arrivato il tampone positivo. Prima ricoverato nel reparto degenza Covid e poi in terapia intensiva. Anche Orlinda e Sara Francesca erano risultate positive e quindi la figlia maggiore Alessandra, si era recata in reparto per visitare il padre. Alessandra ricorda con emozione quel momento: “Mi rispondeva con gli occhi e muovendo leggermente la testa. Sono stata molto male dopo quella visita. Ricordavo il babbo di prima, quello con il quale parlavo, giocavo, cucinavo. Un babbo e un amico. Quella persona non c'era più. Mi sono fatta forza perché non potevo far vedere come stavo: né a lui né alla mamma e a mia sorella che erano ancora chiuse in casa e potevano sapere solo da me come stava. Il Covid separa e non congiunge mai”.
La moglie Orlinda si è data una promessa, baciare il marito appena uscirà dalla terapia intensiva. Rimpiange i baci non dati, “lui è espansivo mentre io sono un po’ rustica”. La famiglia di Alessandro ha avuto modo di conoscere una “seconda famiglia” in questa triste esperienza. È il personale sanitario del reparto. “Ieri sono entrata in reparto - ricorda Sara Francesca - e non ce l'ho fatta. Mi sono messa a piangere. I medici e gli infermieri mi sono venuti vicini e mi hanno sostenuta, come se fossi una figlia loro. Noi comprendiamo la loro fatica, loro comprendono la nostra angoscia. Una notte hanno anche scostato un po' di più la tenda per farci vedere il babbo. Noi siamo qui per cercare di fargli forza e trasmettergli la nostra vicinanza anche attraverso un vetro. E continuare a essere la famiglia che siamo sempre stati, uniti in tutto anche in questa situazione".
Foto Ansa
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Pubblicato il 8 aprile 2021