Intervista a Paolo Morandi, dopo dieci anni pronto a presentare 'Il Dubbio'
Nell'occasione Paolo presenterà anche un breve racconto, scritto sia in italiano che in inglese, che ci ha dato la possibilità di leggere in anteprima e che spiega attraverso vari aneddoti la storia di questi dieci anni. A raccontarla, secondo l'immaginazione dell'autore, è la scultura stessa, attraverso la quale è possibile capire qualcosa in più dell'artista e del suo modo di vedere l'arte in generale, che è soprattutto un antidoto contro la solitudine e la sofferenza, un modo per esorcizzare il dolore
Paolo Morandi ha incontrato per la prima volta la sua compagna di vita, la scultura, quando aveva solo sei anni, in una sera del 1975, e da allora non se n’è più separato. Per caso si era ritrovato a scoprire con sorpresa un volto umano in una radice che aveva lavorato distrattamente con un piccolo coltello. «Mi sono sentito come se non fossi solo; ho sentito che c’era qualcuno o qualcosa che mi faceva compagnia», ci ha rivelato.
Siamo stati a trovarlo nel suo atelier a Casole d’Elsa per farci raccontare del suo progetto ultimato da poco: una scultura realizzata in dieci anni che verrà presentata proprio nella piazza del comune del borgo valdelsano. La data da segnare sul calendario è sabato 23 marzo 2019, alle ore 18.00. All’evento, realizzato con il contributo di Pizzirani e Presso Fonderie come sponsor, parteciperà anche il noto storico d’arte Philippe Daverio.
«Sulla scultura non posso dirvi niente, è una sorpresa», ha subito chiarito. Sull’opera d’arte in questione esiste infatti il massimo riserbo. Le uniche informazioni che ci sono concesse sono che è stata realizzata con il Marmo Giallo di Siena, un materiale tanto duro quanto fragile e molto difficile da lavorare, tipico delle nostre zone e in particolare della Montagnola Senese, che pesa 35 quintali e che si intitola “Il Dubbio”.
Nell’occasione Paolo presenterà anche un breve racconto, scritto sia in italiano che in inglese, che ci ha dato la possibilità di leggere in anteprima e che spiega attraverso vari aneddoti la storia di questi dieci anni. A raccontarla, secondo l’immaginazione dell’autore, è la scultura stessa, attraverso la quale è possibile capire qualcosa in più dell’artista e del suo modo di vedere l’arte in generale, che è soprattutto un antidoto contro la solitudine e la sofferenza, un modo per esorcizzare il dolore.
«Mi sembrava doveroso parlare di questi dieci anni, che per uno scultore sono tanti - ha detto Paolo -. Non è semplice restare concentrati e tenere la mente soltanto su una cosa per così tanto tempo. Mi era già capitato di dovermi fermare con altre opere per un po’, invece questa mi ha scavato proprio dentro».
Durante questo lungo periodo ha dovuto portare avanti altri lavori, potendosi dedicare a “Il Dubbio” soltanto nei fine settimana, senza sottrarre tuttavia troppo tempo alla famiglia, che per lui è sacra. «Sentivo proprio un richiamo - ha spiegato - C’erano dei giorni che andavo lì e non facevo niente e altri giorni in cui invece non avevo tanta voglia e poi si trasformava tutto. Vorrei che si capisse che rapporto c’è tra un uomo e una pietra. Si potrebbe pensare che la pietra è ferma lì, immobile, sembra senza vita e invece non lo è».
Paolo è un autodidatta. Lui e i suoi fratelli hanno imparato ad amare l’arte dal padre, che passava i sabati e le domeniche nella ditta dove era direttore a fare esperimenti chimici su quadri e sculture fatte da lui. Ha cominciato col legno, ma predilige la materia più dura. «Mi piace anche il ferro, ma se tocco la pietra mi trasformo. Non sono io che scolpisco lei, è lei che scava dentro di me», ha detto.
Nei suoi lavori spicca l’elemento della metamorfosi, della trasformazione. Attraverso vari simboli cerca sempre di trasmettere un messaggio, il suo modo di leggere il mondo, e affrontare tante tematiche che sono motivo di riflessione sull’esistenza, sul futuro, sulla condizione stessa dell’uomo. «In tutto secondo me bisogna trovare il bello e il brutto. Vivremmo molto meglio se capissimo che tutto cambia. Riusciremmo ad apprezzare quello che ci succede sul momento e, viceversa, a superare più facilmente un periodo difficile».
Proprio in questi giorni molte delle sue opere sono raccolte in una mostra dal titolo “Impronte in cammino” al Giardino Sottovico a Vico d’Elsa, dove resteranno fino al 31 gennaio prossimo.
Alessandra Angioletti
Pubblicato il 25 gennaio 2019