Intervista a Vanna Radi, allenatrice di Irene Siragusa
«Quando Irene ha vinto l’oro alle Universiadi, ed tornata da Taipei, ci siamo abbracciate, è stato il coronamento di tutto il lavoro che avevamo fatto fino ad allora»
Dietro ogni atleta di successo c’è sempre un allenatore, che spesso lavora nell’ombra, lontano dalle luci della ribalta, svolgendo però un ruolo fondamentale, che merita di essere raccontato. Per questo abbiamo incontrato Vanna Radi, allenatrice della campionessa di atletica valdelsana Irene Siragusa.
Come nasce il tuo rapporto professionale e personale con Irene?
«Irene l’ho conosciuta quando era piccola, frequentava le scuole medie. Veniva al campo una o due volte a settimana, per cui non la vedevo molto spesso. All’epoca io allenavo altri ragazzi, ma conoscevo sua madre e sua zia, con cui avevo fatto atletica leggera da giovane. Nel maggio del 2009 Irene e la sua famiglia hanno deciso di cambiare tecnico e così ho iniziato ad allenarla. Da lì è iniziato questo percorso, che dura da più di 10 anni e direi che procede bene».
Com’è la giornata tipo di un atleta e di un’allenatrice?
«Io non faccio l’allenatrice a tempo pieno, ho un altro lavoro, e buona parte della mia giornata è dedicata a quella che è la mia vera attività lavorativa. Quando esco dal lavoro ci troviamo al campo e facciamo le nostre sedute di allenamento, che variano a seconda delle giornate, dalle due alle tre ore, in campo e in palestra».
Come vivi la gara? Non affrontarla in prima persona ti trasmette più o meno ansia?
«Più che ansia la chiamerei condivisione d’intenti e di paure con Irene. Quando arriva il momento della gara mi chiedo sempre se ho fatto tutto come dovevo e a volte mi vengono mille dubbi, penso che magari se avessi fatto qualcos’altro sarebbe successo qualcosa di diverso. In fondo, però, so che se siamo arrivate a quel punto è perché sono state prese delle decisioni ed è stato fatto un percorso in cui crediamo, altrimenti non lo avremmo intrapreso. C’è un po’ di paura per il risultato, ma c’è anche la consapevolezza che è stato fatto il possibile».
Qual è stato il momento più emozionante in questi anni?
«Quando Irene ha vinto l’oro alle Universiadi, ma più che il momento della vittoria, visto che io la guardavo in televisione, è stato emozionante quando è tornata da Taipei. Non me lo aspettavo, ma lei mi è saltata praticamente addosso e ci siamo abbracciate, è stato il coronamento di tutto il lavoro che avevamo fatto fino ad allora. Era ciò che cercava lei e ciò che io desideravo per lei, riuscire a realizzare uno dei suoi sogni, farle ottenere un risultato prestigioso a livello internazionale. In quell’occasione si è anche qualificata per i mondiali».
Riesci a girare il mondo con Irene?
«Il problema è il lavoro, a volte riesco a ritagliarmi dei periodi di ferie quando lei ha le gare più importanti a livello internazionale, ma non sempre ci riesco. Quando era più piccola era più semplice perché si sapeva che aveva un solo appuntamento internazionale all’anno che cadeva quasi sempre nel periodo di luglio. Adesso che gli appuntamenti sono un po’ più spalmanti nel corso dell’anno diventa più difficile».
Cos’ha dato il territorio a Irene?
«È stato fondamentale, credo che lei si riconosca molto nella sua terra, nella sua città, anche perché qui ha la sua famiglia e i suoi amici. Per quello che posso capire, si sente molto sicura qui, è felice di vivere nel territorio in cui è nata e cresciuta».
Cosa consigli a chi vuole incominciare a praticare atletica?
«È un’attività che o la ami o la odi. Io ho fatto questa scelta quando ero ancora molto giovane, ho cominciato ad allenare che non avevo ancora 18 anni e non ho mai smesso. Sono molto felice di quello che faccio perché è quello che mi piace. Il mio consiglio è scegliere di fare ciò che dà gioia e soddisfazione. Se si sceglie un’attività pensando solo al risultato, per ottenere la fama e la gloria, allora non conviene, non è la strada giusta».
Vincenzo R. Battaglia
Pubblicato il 9 dicembre 2019