L'arte come strumento di difesa per i più deboli. Intervista a Massimo Bramandi
Massimo Bramandi, classe 1980, è napoletano di nascita, ma castellano di adozione. Massimo, per chi non lo conoscesse, è un vero talento e la sua ricerca coinvolge diverse espressioni artistiche: dalla pittura, alla grafica e alla scultura. Attraverso qualche domanda abbiamo cercato di capire cosa vuol dire essere un’artista al giorno d’oggi, chiedendogli del suo modo di lavorare e dei suoi prossimi progetti
Come ha avuto origine la sua passione per l’arte?
«La mia passione nasce fin da quando ero bambino, grazie a mio padre e ai lunghi pomeriggi passati con lui a dipingere, mentre i miei compagni magari preferivano giocare a pallone. Nel 1985 a Roma, insieme a mio padre, sono andato alla mostra “Come mosche nel miele” di Renzo Vespignani, dove mi sono messo a ricopiare una delle sue opere sul mio blocco degli schizzi. Subito attorno a me si formò una folla di curiosi, sorpresi dalla mia giovane età. Lo stesso artista fece i complimenti a me e a mio padre per il mio talento. Da quel giorno ho capito che quella sarebbe stata la mia strada.
Da piccolo sognava questo o le sarebbe piaciuto fare altro?
«Un’altra delle mie giovani passioni, appresa al “naturale” grazie al mio orecchio assoluto, è quella per il pianoforte. Ho scelto di coltivare le mie abilità artistiche, ma non ho abbandonato il mio amore per la musica. Infatti, ogni qual volta ne ho l’occasione, mi diletto a suonare il pianoforte.
Come nasce l’idea e dove prende l’ispirazione per la realizzazione di una nuova opera?
«Penso che gli artisti siano delle “spugne” che assorbono la linfa dalla realtà che li circonda. Mi sono reso conto sempre più negli anni che qualsiasi mia esperienza, anche lontana nel passato, si è sempre ripresentata nelle mie opere in forma più o meno esplicita. L’ispirazione nasce dall’esterno, ma senza una rielaborazione attraverso l’interiorità di un artista rimarrà sempre e solo un concetto astratto.
Quali sono i temi e i materiali da lei più rappresentati e utilizzati?
«I temi delle mie opere sono principalmente a sfondo sociale e civile, in quanto ritengo che l’arte debba essere strumento di difesa per i più deboli. Per quanto riguarda i materiali, sono cresciuto con l’olio su tela, ma con le mie esperienze all’estero, in particolare durante i miei anni tedeschi, ho sperimentato vari materiali per la mia specializzazione scultorea.
Che rapporto ha con gli altri artisti?
«Amo il confronto con gli altri artisti. Purtroppo, però, il mondo dell’arte è avaro di altruismo ed è colmo di competitività, soprattutto nell’epoca moderna.
Cos’è per lei l’arte e cosa rappresenta?
«L’arte è prima di tutto trasmettere emozioni. L’arte è creare qualcosa di unico e irripetibile, qualcosa che lasci un’impronta del passaggio su questa terra dell’essere umano. L’arte racconta un’epoca ai posteri sintetizzando in sé le caratteristiche del periodo storico che l’ha vista nascere. Nel mio caso, l’arte è uno strumento per affrontare tematiche civili e sociali e far riflettere su di esse.
Qual è il progetto o l’opera alla quale lei è maggiormente legato?
«Indubbiamente è l’opera “Gli Invisibili”, appartenente alla collezione “L’Immagine Riflessa”, dedicata agli operai cassintegrati della Shelbox, azienda locale che fallendo ha lasciato senza lavoro 147 operai e quindi senza sostentamento altrettante famiglie. Proprio con quest’opera ho sentito il culmine del mio impegno civile e sociale.
Progetti presenti e futuri?
«In questo momento sto sviluppando la mia ricerca artistica in direzione del rapporto tra l’artista e la natura per una delle kermesse internazionali più importanti. Il futuro mi vedrà coinvolto in molti eventi al fianco del professor Vittorio Sgarbi, che curerà una mia mostra nel 2018, ma che affiancherà anche un nuovo progetto con cadenza annuale che vedrà coinvolte altre personalità illustri del mondo dell’arte e non solo.
Mary Piccirillo
Pubblicato il 21 novembre 2017