La storia di una ragazza discriminata perché lesbica

Tra le maglie dei nostri reportage relativi a sesso, genere ed identità di genere, siamo riusciti a raccogliere una testimonianza di una ragazza

 PRIDE MONTH
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Tra le maglie dei nostri reportage relativi a sesso, genere ed identità di genere, siamo riusciti a raccogliere una testimonianza di una ragazza che per ovvie ragioni è voluta rimanere anonima e che noi chiameremo Angie, come la canzone dei Rolling Stones

Abbiamo deciso di pubblicarla oggi, primo giugno, mese definito «Pride Month».

È una storia di conflitti, di discriminazione e di quanto non vorremmo mai riportare alla cronaca non per mancanza di volontà nella trasparenza quanto perché storie di questo tipo non dovrebbero esistere.

Angie frequentava il liceo, aveva circa 16-17 anni. In quegli anni racconta di aver avuto alcuni problemi ed era seguita da uno psicoterapeuta. Uno dei compiti che gli fu dato in terapia fu quello di scrivere un diario nel quale riportare alcuni dubbi e soprattutto ciò che Angie scorgeva intorno a sé. Dal comportamento dei sui compagni di classe, agli amici a genitori e di come questo si ripercuoteva su di lei. Questo diario era diventato un compagno affidabile al quale raccontare tutto, da portare sempre con sé, anche a scuola.

Una volta alcune delle compagne di scuole di Angie si sono appropriate del diario, «mi accorsi - afferma Angie - che dopo la ricreazione il mio zaino era stato aperto ed il diario spostato. Poco tempo dopo mi sono ritrovata a fare delle ripetizioni a due mie compagne. Notai che spesso si guardavano sogghignando tra loro. Le due ragazze iniziarono poi a darmi dei baci sulla guancia, alternandosi tra loro, ridacchiando. Io non riuscivo a capire il perché del loro comportamento, ne mi venne in mente di chiederlo o di fermarle perché sostanzialmente c’ero rimasta così male da sentirmi io in una situazione di imbarazzo e di difetto piuttosto che loro».

Angie racconta che una delle due ragazze dopo averla baciata la guardò dicendogli, «tanto a te piace che una ragazza ti baci, no?».

Ricorda a fatica Angie se rispose, se stette zitta, se continuò la ripetizione o se scappò, ricorda solo che in quel momento si si accese una lampadina. Tra il diario spostato e lo zaino aperto in classe, «ricordo - racconta Angie - che per la prima volta avevo messo nero su bianco i miei dubbi circa la mia sessualità, facendo tutta una serie di ragionamenti che erano collegati con degli eventi concreti della mia vita personale. Ero di fatto ben lontana dal fare coming out, visto che nemmeno io ero del tutto cosciente della mia sessualità in quel momento, quindi quelle parole e quei fatti sarebbero dovuti rimanere assolutamente privati».

Sovrastare la propria libertà individuale, il proprio privato, la propria autodeterminazione è paragonabile ad addentrarsi senza permesso nella propria casa e fare una razzia, un’incursione aprendo tutti i cassetti, sparpagliando i propri pensieri anche più intimi, appropriarsi di ciò che non andrebbe neanche sfiorato

Una vera e propria violenza sotto tutti i profili.

Angie racconta che, però, non è stato l’unico episodio come quando in prima liceo, iniziò una discussione abbastanza accesa tra lei e la professoressa di psicologia riguardo l’omosessualità e le adozioni gay. La professoressa si dimostrò contraria, iniziando a spiegare alla classe tutte le sue motivazioni.

«Io - ricorda Angie - rimasi indignata, non tanto dalle parole, quanto del fatto che le stesse erano rivolte a dei ragazzi facilmente plagiabili, vista l’età. Ricordandomi questo, ho iniziato a temere che anche l’aver difeso una causa, che in quel momento e soprattutto prima di quel momento non mi “riguardava”, avesse in qualche modo macchiato la mia immagine, mettendomi una stigmate in fronte e rendendomi quindi facilmente riconoscibile come ragazza lesbica. A seguito di questa situazione ci sono state sicuramente delle conseguenze che solo ora, diciamo da adulta, sono riuscita quasi del tutto ad annullare, ma non per tutti è facile farlo».

Storie, momenti, esperienze che ricordate dopo anni assumono un altro significato. Si ricordano con un colore diverso, con un risvolto a tratti drammatico. Quello che ora possiamo dire ad Angie è che quelle, “dark clouds” - nuvole oscure, come cantano e suonano i Rolling Stones - sono scomparse e “all the dreams” - tutti i sogni - non andranno in fumo.

Lodovico Andreucci

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Pubblicato il 1 giugno 2021

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