La Val d'Elsa nelle parole di Carlo Cassola
Quando si legge di Carlo Cassola vien da sé il collegamento con la Toscana, con i borghi della Val d’Elsa e dell’Alta Val di Cecina. Cassola rientra nel patrimonio letterario della Toscana, grazie alla quale è riuscito a creare personaggi ed ambientazioni ormai ancorate all'immaginario collettivo che suscitano ancora oggi dubbi e fascino
Quando si legge di Carlo Cassola vien da sé il collegamento con la Toscana, con i borghi della Val d’Elsa e dell’Alta Val di Cecina.
Infatti, a detta dello scrittore stesso, “la Toscana è sempre stata il paradiso perduto da riconquistare”, con la quale Cassola instaura un forte legame sin dall’adolescenza, tanto da indurlo a suddividere negli anni la produzione lettararia secondo una mappa dei luoghi.
Seppur con origini volterrane – ha vissuto a lungo nella Villa Marmini di Volterra –, è stata Roma a dare i natali a Carlo Cassola, il 17 marzo 1917, dove è stato fino all’età di 23 anni, quando per motivi legati alla guerra ha dovuto spostarsi a Volterra, partecipando alla Resistenza con i gruppi comunisti del volterrano e ricoprendo il ruolo di capo della squadra esplosivisti della XXIII Brigata Guido Boscaglia che operava nell’Alta Val di Cecina e in Berignone, di cui Cassola scrive: “Un tempo mi consolava il pensiero che, scomparso io, Berignone sarebbe rimasto al suo posto.”
Sul territorio toscano ebbe contatti con Luciano Bianciardi, intellettuale maremmano, e con Romano Bilenchi, scrittore e giornalista colligiano, “personaggio scomodo per la tranquilla schiettezza e spregiudicatezza dei suoi giudizi”, come lo definisce Grazia Cherchi in Scompartimento per lettori e taciturni (1997, minimumfax).
All’interno della produzione cassoliana trovano ampio spazio i territori della Val d’Elsa, della Val d’Era e della Maremma, con riferimenti precisi a borghi storici come Monteguidi, un borgo circondato da colline “quali nude, quali coperte di bosco”, Colle Val d’Elsa “nascosta dietro il ciglio: se ne scorgevano solo poche case, e una porta merlata, verso cui puntava diritta la strada”, Poggibonsi “un paese, ma grande, in pianura, che la notte si animava misteriosamente”, Pisa e Volterra, con “l’ombra del palazzo comunale”, soprattutto presenti in opere come Il taglio del bosco. Venticinque racconti (1950, Mondadori), Fausto e Anna (1952, Mondadori), L’antagonista (1980, Rizzoli BUR), Paura e tristezza (1981, Rizzoli BUR), Colloquio con le ombre (1982, Rizzoli), Mio padre (1983, Rizzoli), ma in particolare nel celebre romanzo La ragazza di Bube (1960, Einaudi), incorniciato nella Val d’Elsa e nel Volterrano e ambientato tra il 1944 ed il 1948.
Grazie a La ragazza di Bube, pubblicato nel 1960 dalla casa editrice Einaudi, Cassola raggiunge il successo, vincendo lo stesso anno il Premio Strega, sbaragliando la concorrenza composta da autori come Italo Calvino e Alberto Arbasino.
Definito da Luigi Oliveto, giornalista senese, come “un romanzo d’amore, di taglio introspettivo anche se sullo sfondo scorrono gli avvenimenti storico politici del dopoguerra”, La ragazza di Bube dimostra la propria unicità nel forte intreccio tra il destino dell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra e quello dei due personaggi: Mara, che vive a Monteguidi con la famiglia comunista, e Bube, partigiano, ricercato in seguito all’uccisione di un maresciallo a Volterra.
Nella stesura del romanzo, Cassola si ispirò ad un fatto realmente accaduto nel 1945 a Pontassieve (FI), quando vennero uccisi due carabinieri e dell’omicidio fu accusato Renato Ciandri, fidanzato di Nada Giorgi e detto Bube, costretto così alla fuga, prima in Francia e poi in Italia.
A torto o a ragione, Cassola rientra nel patrimonio letterario della Toscana, grazie alla quale è riuscito a creare personaggi ed ambientazioni ormai ancorate all’immaginario collettivo che suscitano ancora oggi dubbi e fascino.
Ambra Dini
unacosapiccolamabuonaa.blogspot.com
Pubblicato il 17 maggio 2019