Paolo Morandi svela 'Il Dubbio'. Tutta Casole accorsa ad abbracciare il suo concittadino

«Mi pare che l’appello lanciato per essere in tanti sia stato ben raccolto. Devo ringraziare Paolo, perché ci ha dato quest’occasione straordinaria di stare insieme», ha detto il sindaco Piero Pii, che ha ripercorso in una breve rassegna la storia artistica del borgo valdelsano. Da Marco Romano ad Alessandro Casolani, da Maddalena Casulana ad altre grandi personalità della musica come Leonardo Morelli e Francesco Bianciardi

 
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Piazza gremita, quella di sabato 23 marzo a Casole d’Elsa. C’erano casolesi, c’erano artisti, c’erano persone dai Comuni vicini, curiose di vedere finalmente dal vivo “Il Dubbio”, l’opera in marmo giallo di Siena che Paolo Modandi ha scolpito negli ultimi dieci anni. Non tanto perché è il periodo che materialmente ha impiegato per la realizzazione della scultura, come ha tenuto a precisare; aveva l’idea, ma perché questa prendesse forma c’è voluto tempo, concentrazione, non andavano bruciate le tappe. C’era Philippe Daverio, il famoso storico dell’arte invitato a presentarla e l’assessore alla Cultura del Comune di Siena. C’era soprattutto il calore di una comunità che si è stretta con orgoglio attorno a un suo concittadino.

«Mi pare che l’appello lanciato per essere in tanti sia stato ben raccolto. Devo ringraziare Paolo, perché ci ha dato quest’occasione straordinaria di stare insieme», ha detto il sindaco Piero Pii, che ha ripercorso in una breve rassegna la storia artistica del borgo valdelsano. Da Marco Romano ad Alessandro Casolani, da Maddalena Casulana ad altre grandi personalità della musica come Leonardo Morelli e Francesco Bianciardi.

«Mi auguro che tra 700 anni - ha aggiunto il primo cittadino - qualcuno parli di Paolo così come oggi noi parliamo di Marco Romano. So che non è facile, ma so che non è impossibile. Chi ci ha preceduto ci ha lasciato grandi opere d’arte, però a noi ha lasciato un’altra cosa, che è la più grande opera d’arte che abbiamo: il nostro territorio. Questo paesaggio è opera di migliaia e migliaia di persone che nei secoli hanno lavorato in questa zona ed è il più grande bene che noi abbiamo, perché è lì che si sta sviluppando e si svilupperà il futuro di Casole».

Vittoria Panichi, vice presidente della Pro Loco locale e direttore organizzativo del Casole Film Festival, ha presentato il piccolo libro, in lingua italiana e inglese, che accompagna la scultura e che Paolo ha scritto per spiegare meglio la nascita dell’opera e il rapporto che lo lega ad essa. «Mi ha molto colpito - ha detto – l’episodio nel quale racconta di essere stato, da giovane, alla scuola di scultura di Nigel Konstam. Gli era stato chiesto di realizzare quattro opere ma lui dopo quattro giorni le aveva già concluse tutte. Nigel gli disse “Tu qui non ci fai niente. Vai via perché hai ricevuto un dono da Dio”. Ecco, io ho messo in relazione questo aneddoto con quello che Paolo ha fatto con quest’opera: lui è riuscito a vedere in quel blocco di marmo la sua anima. Questo è quello che mette in relazione gli artisti. Non tanto il vedere oltre, ma vedere con mezzi diversi; non è vedere con gli occhi ma vedere con l’anima».

«C’è una parola che in questo libro viene ripetuta più volta - ha continuato -, la parola “fragilità”. È vista sempre come qualcosa di negativo, perché si ha paura che gli altri la usino contro di noi o che possa essere sintomo di debolezza. L’artista invece è un privilegiato, perché può usare questa fragilità e addirittura può mostrarla agli altri come forza. Paolo in questo marmo ha visto la sua potenzialità, laddove altri avevano visto solo della breccia».

Anche Paolo ha preso la parola, commosso, ringraziando i presenti e, uno ad uno, coloro che gli hanno dato un piccolo contributo. «La cosa più bella di quest’evento - ha detto - sono state l’affetto e l’amicizia ricevuta da tutto Casole, in particolare da alcune persone che hanno fatto parte di quest’avventura e senza le quali non sarebbe stato possibile realizzare il tutto».

«Il risultato di quest'oggetto è straordinario - ha commentato Philippe Daverio -. La cosa più curiosa è che questo suo lavoro finisce qua, in piazza. E' un pezzettino in più che va a completare l'identità di una comunità. E' un pezzo che si aggiunge al fatto che ci sia il palazzo comunale, alla chiesa, alle case. Voi stasera, probabilmente al secondo giro di forchetta nello spaghetto, avrete dimenticato tutto quello che ho detto, ma questa cosa qui teoricamente è eterna. Guardate che è una grande fortuna fare lo scultore, facciamogli i complimenti!».

Alessandra Angioletti

Pubblicato il 5 aprile 2019

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