Poggibonsi, 29 dicembre 1943: la testimonianza di Tosca Barucci

Un ricordo di guerra, una giornata che segnò la città di Poggibonsi: ''Hanno bombardato Poggibonsi. Ecco, io vedo ancora la mia mamma portarsi una mano alla bocca, per impedire al grido inumano che aveva nel cuore, di usci­re fuori''

 POGGIBONSI
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"...Intanto era arrivato Natale, un Natale di guerra, un Natale povero quello del 1943, ma non rinunciammo per questo al nostro albero: c'erano tanti piccoli cipressi nel bosco delle Cipressete; ne tagliammo uno e, a Pestello, alla bottega di Leo­poldo, potemmo trovare persino arance, caramelle e fichi secchi con cui adornarlo.

Io avevo avuto un regalo meraviglioso, il più bel regalo che avessi mai ricevuto in rutta la mia vita: un pulcino vero!

Non ricordo bene se ricevetti il pulcino come dono di Natale o se mi venne dato il 29 dicembre, come regalo per il mio sesto compleanno.

Comunque fosse, io ne ero felice e trattavo quel piccolo, mor­bido essere con tutta la delicatezza di cui ero capace: lo cullavo, lo nutrivo, lo coprivo, quando lo mettevo a letto nella scatola da scar­pe e non sapevo spiegarmi perché il pulcino mostrasse sicuri segni di insofferenza nei miei confronti.

Non ricordo neppure se quel giorno, il 29 dicembre del 1943, la mamma avesse preparato per me una torta con le candeline di rito, so soltanto che ci doveva essere una piccola festa in mio onore perché anche il babbo aveva promesso che sarebbe tornato prima, per il pranzo.

Verso mezzogiorno, improvvisamente, il cielo sereno fu inva­so da una formazione di aerei, il cui rumore fece uscire di casa tutti gli abitanti del villaggio, che si portavano la mano agli occhi per vedere dove gli aerei si dirigessero. C'era un bel sole nel cielo inver­nale e la valle dell'Elsa ne era tutta illuminata. Di fronte a noi, un po' più in basso, la sagoma delle torri di San Gimignano si sta­gliava in tutta la sua bellezza. Sembrava che gli aerei si dirigessero là, invece, tutto ad un tratto, si videro calare a valle e sganciare bombe, bombe, bombe...

Tutti eravamo immobili, al bordo della strada, a guardare, impietriti, in fondo alla valle; i volti delle persone riflettevano stu­pore, incredulità, paura... Una nuvola nera si levò dalla terra, pochi chilometri sotto di noi e qualcuno disse:

- Hanno colpito il ponte di Lecchi, verso la ferrovia. Dopo pochi istanti, però, altre nuvole nere sorsero ovunque nella valle, proprio nel punto in cui sorgeva il mio paese. Le nuvole nere si unirono ad altre nuvole nere, fino a formare un’ unica, immensa nuvola nera che in pochi minuti si innalzò sempre di più nel cielo e, alla vista della quale, le persone si guardarono con sbigottimento. Poi qualcuno osò pro­nunciare ad alta voce ciò che tutti, in cuor loro, ormai sapevano con certezza:

- Hanno bombardato Poggibonsi.

Ecco, io vedo ancora la mia mamma portarsi una mano alla bocca, per impedire al grido inumano che aveva nel cuore, di usci­re fuori e vedo i suoi occhi che scrutano, con angoscia, i tratti in cui la strada bianca sbucava dal bosco, giù, fino alla svoltata di Sant'Agnese, per vedere se qualcuno la percorreva a bordo di una Fiat 1100 avana chiaro, oppure a bordo di un calesse tirato da un cavallo. Invano.

Mentre le ore passavano senza che nessuno arrivasse, l’ansia diventava sempre più grande; tutti ci stringevamo intorno alla mamma ed in noi diventava certo il presentimento che fosse acca­duto qualcosa di grave al babbo. Infine, non potendo più resistere nell'incertezza, mia sorella Renata saltò sulla bicicletta e si lanciò giù, all'impazzata, per la discesa, verso il paese, verso la rovina, verso la morte.

Fumo, macerie, feriti, morti: ecco ciò che fotografavano gli occhi terrorizzati di mia sorella.

Il nostro paese, così vivace, così operoso, così piacevole a viverci, era stato quasi completamente distrutto e l'angoscia si faceva sempre più grande, via via che, spingendo la sua bicicletta fra le macerie ancora fumanti, mia sorella si avvicinava alla nostra casa, ovvero al mucchio di macerie fumanti, dove prima si trovava la nostra casa. Un pianto disperato la percorse, una rabbia impo­tente, un guardarsi intorno, smarrita e incredula, alla vana ricerca del padre: perché tutto questo?

Intorno a lei, i superstiti vagavano, come anime in pena, alla ricerca dei loro cari; alcune persone scavavano tra le macerie nei punti da cui si sentivano provenire gemiti e lamenti strazianti...”.

(Da Barucci Tosca “Un album di fotografie” - Scandicci 1999)

La redazione ringrazia Franco Burresi per il contributo inviatoci.

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Pubblicato il 29 dicembre 2022

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