Poggibonsi e la nuova misurazione del tempo
Ancora a metà del sec. XVIII nella Toscana vigeva il cosiddetto calendario dell'Incarnazione, secondo il quale l'inizio dell'anno era fissato al 25 marzo
La misura del tempo ha sempre interessato l’uomo fin dai tempi più antichi. Contare gli anni a partire da un punto di riferimento ha costituito un modo per prendere coscienza della propria storia e del lungo cammino fatto sulla linea del tempo. Suddividere l’anno in mesi e relazionarli quindi con le stagioni, o contare le ore del giorno, ha significato scandire e regolare il tempo del lavoro, soprattutto nei campi, come pure la vita economica e sociale dei borghi e delle città, il tempo del commercio e degli affari, così prezioso. Prima della comparsa degli orologi pubblici, ma anche dopo e contemporaneamente a questi, le campane delle torri campanarie o campanili hanno rappresentato per la popolazione la scansione del tempo della giornata lavorativa, oltre che di tante altre attività relazionali. C’erano già, fin dal medio evo, così tanti campanili in Europa, (si parla di una cifra che varia dai 100.000 ai 200.000), che un celebre medievalista, Ludovico Gatto, può affermare che “sarebbe bastato salire su una delle tante torri campanarie esistenti per poterne scorgere almeno altre cinque o sei, da essa poco lontane”.
Il calcolo del tempo, tuttavia, ha rappresentato anche un problema da risolvere, che nel corso dei secoli ha visto avvicendarsi diverse soluzioni. Fino al sec. VI, ad esempio, fino alle ricerche ed i calcoli effettuati da Dionigi il Piccolo, non si contavano gli anni dalla presunta nascita di Cristo, ma dalla fondazione di Roma, oppure, in seguito, dall’ascesa al trono di Diocleziano, o da un’ipotetica data della creazione del mondo e via dicendo. Anche la data dell’inizio dell’anno non coincideva ovunque, ma variava a seconda dei popoli o delle città, anche se si trattava, a volte, di città vicine: 25 dicembre per alcuni, data della natività, 25 marzo per altri, data dell’incarnazione.
Ancora a metà del sec. XVIII nella Toscana vigeva il cosiddetto calendario dell’Incarnazione, secondo il quale l’inizio dell’anno era fissato al 25 marzo. Con una complicazione però, a seconda che si adottasse il cosiddetto “calendario pisano” oppure il “calendario fiorentino”. Secondo quello pisano l’anno nuovo si calcolava in anticipo di circa 9 mesi rispetto al calcolo attuale, secondo quello fiorentino in ritardo di circa 3 mesi. Così, ad esempio, un documento datato a Firenze febbraio 1720 corrisponderebbe in realtà al nostro febbraio 1721, mentre uno datato a Pisa aprile 1721 corrisponderebbe al nostro attuale aprile 1720.
A mettere fine definitivamente a tale stato di possibile confusione intervenne un provvedimento del 1749 del granduca Francesco Stefano di Lorena, il quale stabilì che da allora l’anno fosse conteggiato ovunque a partire dal 1 gennaio.
Fu così che dal 1 gennaio 1750 pisani e fiorentini e tutti coloro che gravitavano attorno a tali città, Poggibonsi compresa, si dovettero adeguare. L’evento è ricordato da tre lapidi situate rispettivamente a Firenze in Piazza della Signoria, a Siena in Piazza del Campo, a Pisa sotto la loggia dell’orologio pubblico. L’ordine arrivò anche in periferia, a tutte le cancellerie ed uffici pubblici, di modo che cancellieri, notai, amministratori, funzionari di ogni tipo dovettero aggiornare i loro quadernucci e registri di lavoro.
Si trattò una novità importante, che valeva la pena di essere fissata sulla carta, a perenne memoria. Così anche il cancelliere di allora del Comune di Poggibonsi Benedetto Giunti pensò bene, nell’iniziare i verbali del nuovo anno 1750, di premettere la nota seguente:
“In esecuzione della legge dell’Augustissimo Imperatore Francesco Granduca di Toscana, nostro Clementissimo Signore del dì 20 Novembre 1749... si è lasciato di contare gli anni che finora, secondo lo stile fiorentino/pisano si computavano dalla Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo et in luogo di detto stile si è introdotto l’altro comune di servirsi dell’ora Cristiana Volgare ritenuta comunemente, che comincia a contare dalla Natività, secondo la quale questo dì 1 gennaio è il principio dell’anno millesettecentocinquanta. E tutto questo ho notato di mia mano nel presente Libro intitolato Giornale a perpetua memoria et acciocché per intelligenza degli atti celebrati sino al presente giorno conti sempre dell’Antico Stile e della presente Variazione e della Maniera con cui si è eseguita”.
Questo dì 1 gennaio 1750
lo Benedetto Giunti Cancelliere
Contemporaneamente si diffuse sempre di più il calcolo delle ore del giorno “alla francese”, cioè dividendo le ore del giorno in 12 antimeridiane e 12 pomeridiane fisse, mentre fino alla metà del secolo aveva prevalso il sistema “all’italiana” o “boema”, secondo il quale la giornata veniva divisa in 24 ore e si contava la prima ora del giorno a partire dall’Avemaria della sera ossia dal tramonto del sole, con le ore, quindi, che variavano a seconda delle stagioni.
Nel settecento, insomma, secolo di grandi rivoluzioni, vi fu anche questa minore, ma importante, rivoluzione che riguardò il calcolo del tempo.
Franco Burresi
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Pubblicato il 24 aprile 2022