Quando lo sport diventa sinonimo di libertà. L’esperienza del Tuscany Camp a San Rocco a Pilli

«L’idea mi è venuta nel 2013. Ho sempre allenato, anche quando correvo. Ero un buon atleta, ma certo non così bravo da poter diventare un professionista. A gennaio dell’anno dopo sono andato in Africa 'all'avventura', ho preso una macchina a noleggio in Kenya e poi mi sono spostato in Uganda. Là ho incontrato Beatrice e Flavio Pascalato, rispettivamente segretario generale e responsabile amministrativo della Federazione Ugandese di Atletica Leggera. Ho visto l’impegno e la trasparenza che mettono in ciò che fanno e così abbiamo subito cominciato a collaborare»

 
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La prima volta che ho sentito parlare del Tuscany Camp è stato nell’agosto di due anni fa. Il sindaco di Sovicille Giuseppe Gugliotti scrisse sul proprio profilo Facebook un messaggio d’incoraggiamento per gli atleti che avrebbero partecipato ai Giochi Olimpici di Rio, che si erano preparati proprio qui, in questo centro di eccellenza a San Rocco a Pilli, a due passi da Siena, favoriti dal clima e dal paesaggio che la Val di Merse offre.

Quando finalmente incontro Giuseppe Giambrone, deus ex machina del campo di allenamento, mi è subito chiaro che questo posto svolge anche un’importante funzione umanitaria, oltre che sportiva. 

Il progetto iniziale era quello di costruire un polo d’eccellenza del mezzofondo italiano, che diventasse il punto di riferimento per stage di allenamento in collaborazione con la Fidal e con altri allenatori. Ma a quel tempo Giuseppe era più che altro un amatore con un sogno nel cassetto e ha dovuto presto rassegnarsi a trovare un’alternativa. Ha pensato così di cominciare ad allenare atleti africani, per sviare invidie e campanilismi e allo stesso tempo per poter lavorare con sportivi dal grande potenziale.

Oggi il Tuscany Camp, interamente finanziato dagli Studi Medici di San Rocco a Pilli, è diventato realtà, grazie anche alla collaborazione col dottor Bonifazi, medico dello sport, fisiologo, coordinatore tecnico del Centro Studi e Ricerche della Federazione Italiana Nuoto, e del Professor Tommaso Ticali, allenatore del vice campione del mondo 1999 Massimo Vincenzo e della campionessa europea 2010 di maratona Anna Carmela Incerti. Sono già tredici le medaglie conquistate alle competizioni mondiali, la dimostrazione dell'altissimo livello degli atleti e dei risultati ottenuti. Jacob Kiplimo, Albert Chemutai, Geoffrey Kusuro, Oscar Chelimo sono solo alcuni dei grandi nomi degli sportivi che hanno fatto la storia di questo territorio.

«L’idea mi è venuta nel 2013 - racconta Giuseppe -. Ho sempre allenato, anche quando correvo. Ero un buon atleta, ma certo non così bravo da poter diventare un professionista. A gennaio dell’anno dopo sono andato in Africa “all’avventura”, ho preso una macchina a noleggio in Kenya e poi mi sono spostato in Uganda. Là ho incontrato Beatrice e Flavio Pascalato, rispettivamente segretario generale e responsabile amministrativo della Federazione Ugandese di Atletica Leggera. Ho visto l’impegno e la trasparenza che mettono in ciò che fanno e così abbiamo subito cominciato a collaborare. La mia prima sfida si chiamava Wilson Busienei, un atleta molto forte, famoso per aver vinto tre medaglie d’oro alle Universiadi di Izmir nel 2005, che purtroppo aveva sperperato tutto nell’alcol. È una cosa che capita spesso, quando non si sanno gestire i soldi guadagnati nelle gare. Ho pensato che se fossi riuscito a rimetterlo in sesto allora avrei dimostrato che facevo sul serio e così è stato. Sono stato fortunato».

A gennaio di quest’anno è stato rinnovato l’accordo di collaborazione che vede il Tuscany Camp la sede ufficiale della Federazione Ugandese in Italia fino alle Olimpiadi del 2020.

Quando visito il campo per la prima volta ci sono una ragazza di 19 e un ragazzo di 20 anni, due atleti burundesi: Elvanie Nimbona e Onesphore Nzikwikunda. Lei parla solo kirundi, l’altra lingua ufficiale oltre al francese. Lui le traduce le indicazioni di Giuseppe sull’allenamento mattutino, mentre tra un “alé alé” e una pacca d’incoraggiamento corrono lungo la strada delimitata dagli appositi cartelli vicino a Brenna. Tornata a casa, cerco alcune informazioni sul Burundi, di cui mi limito a conoscere vagamente soltanto la posizione geografica. È uno dei Paesi più poveri del mondo, secondo alcune statistiche il più povero.  

Dal 2005, quando è finita la guerra civile, Pierre Nkurunziza è il Presidente della Repubblica e il segretario del Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia - Forze per la Difesa della Democrazia (CNDD-FDD). Le elezioni per il suo terzo mandato (la costituzione ne prevede al massimo due) sono state giudicate “non credibili” dall’ONU e hanno spinto lo stato in un clima di tensione e violenza crescenti. Un articolo di Internazionale datato 1 febbraio 2016 parla di “centinaia di migliaia di profughi e sfollati interni" e di "famiglie di decine di giornalisti, attivisti e sospetti simpatizzanti dell’opposizione uccisi in modo sommario”. Nel novembre 2017 la Corte Penale Internazionale ha avviato un’indagine, accusando il governo di frequenti violazioni dei diritti umani. La vittoria schiacciante del sì, ottenuta con soprusi e intimidazioni, al referendum del 17 maggio scorso ha esteso il mandato presidenziale da 5 a 7 anni, fino a un massimo di due mandati consecutivi a partire dal 2020 e senza tenere conto dei precedenti: Pierre Nkurunziza può di fatto continuare indisturbato la sua politica di terrore fino al 2034.

La seconda volta al Tuscany Camp il centro è ben più affollato. Insieme a Onesphore ed Elvanie, ci sono altri atleti che provengono dal Burundi e dall’Uganda. Parlo con alcuni di loro mentre fanno colazione, cantano e si rilassano in casa, dopo la prima sessione di allenamento giornaliero. Vengono tutti da famiglie molto numerose. Anthony Ayeko è il sesto di tredici fratelli, il terzo dei suoi ad aver intrapreso la carriera sportiva. Abita in un piccolo villaggio di mille persone, ha vent’anni. Simon Rugut è considerato una specie di leader nel gruppo, perché ha 32 anni ed è qui da più tempo degli altri. Mi aiuta nelle domande e nella traduzione, in un simposio di mimica facciale e neologismi inglesi. Anche lui ha tanti fratelli e sorelle, neanche lui è il primo atleta di casa. Quando domando loro cosa vorrebbero fare nella vita entrambi mi rispondono «il business man» o «travel in the world». Per loro la corsa è il mezzo necessario per essere liberi, per poter viaggiare, per potersi sposare, per poter avere i soldi necessari da mandare a casa. Nemmeno Jean Marie Vianney Niyomuzika fa eccezione. Lui viene dal Burundi, dove c’è una «no very good situation. There is war. Bum bum bum», dice facendo il verso del fucile con le mani. Ha 21 anni, gli piacerebbe vivere stabilmente in Italia.

«Se tiro fuori dalla fame un talento - mi aveva spiegato Giuseppe al nostro primo incontro - anche lui potrà contribuire al proprio benessere e aiutare il prossimo a sua volta. Noi non diamo dei soldi ai nostri atleti, offriamo semplicemente loro la possibilità di sfruttare al meglio le capacità che possiedono e li educhiamo a non sperperare quello che guadagnano». Mi aveva fatto due esempi: Boniface Kiprop Toroitich e Juliet Checwel. Il primo è stato più e più volte campione del mondo. Quando ha deciso di lasciare la carriera sportiva ha reinvestito sul territorio e ha creato un’azienda agricola con 50 dipendenti in Uganda. La seconda, ancora in attività, aveva una passione sfrenata per la pizza. Si è fatta insegnare dalle signore di San Rocco a Pilli a cucinarla e aprirà una pizzeria a Kapchorwa, nella Regione Orientale ugandese.

Il Tuscany Camp ha un campo di allenamento anche a Bukwo in Uganda, nel quale si allenano giovani di talento che hanno in questo modo la possibilità di rivelarsi e farsi seguire direttamente sul posto. Giuseppe racconta che, col passare del tempo, sono sempre di più le famiglie che incoraggiano le proprie figlie a intraprendere questa strada, a dispetto della cultura tradizionale che le vede mogli e madri giovanissime. Hanno capito che è più conveniente privarsi di forza lavoro nei campi e assecondare le loro capacità, alla luce di possibili entrate sportive. Tra queste c’è anche Adha Munguleya, 19 anni compiuti da poco, sorriso contagioso e occhi vivaci. Frequenta le scuole superiori, ha un fidanzato che si chiama Jimmo e che spera di sposare presto. Ci sono altri atleti nella sua famiglia, per questo vive in una condizione un poco più agiata rispetto alle sue compagne. Tuttavia quando le chiedo perché corre, risponde senza esitazione: «Anche io ho bisogno di fare le mie cose. Quando torno a casa vorrei studiare Legge o Giornalismo».

L’ultima volta al Tuscany Camp è in trasferta, al Campo Scuola Enzo Corsi a Siena, dove i ragazzi si allenano per le gare su pista. Giuseppe mi aveva detto che non avrei potuto perdermelo, nonostante avessi già visto un allenamento a Brenna, «non hai idea di come vanno!». Non avevo mai visto il gruppo così numeroso. Agli alteti che avevo già conosciuto se ne sono aggiunti di nuovi, provenienti da altri Paesi. Tra loro ci sono anche il grossetano Stefano La Rosa, bronzo alle Universiadi di Shenzhen 2011 e quattro volte finalista agli Europei, e Mary Joy Tabal, famosa per essere la prima maratoneta filippina a qualificarsi ai Giochi olimpici. Stavolta non c'è molto tempo per le chiacchiere. I ragazzi si preparano per le gare del fine settimana, seguono le dritte e le indicazioni di coach Giambrone. Corrono insieme, poi divisi in gruppi, senza distinzioni né differenze, sembrano non sentire la fatica.  

Alessandra Angioletti

Pubblicato il 25 giugno 2018

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