Quel che resta di Auschwitz. I racconti degli studenti del Volta che hanno partecipato al Treno della Memoria

In occasione della Giornata della Memoria, riproponiamo l'articolo di un anno fa con le testimonianze dei ragazzi del Liceo A. Volta di Colle di Val d'Elsa che hanno partecipato al Treno della Memoria nel 2015

 
  • Condividi questo articolo:
  • j

Dopo ben otto edizioni, è tornato anche quest'anno il Treno della Memoria, organizzato in collaborazione con il Museo della Deportazione di Prato, tutte le province della Toscana, il Comune di Firenze e l'Ufficio scolastico della Toscana. Ci siamo fatti raccontare com'è andata dagli studenti del Liceo Statale Alessandro Volta, accompagnati dal professor Luca Bezzini. Anche a distanza di più di due settimane, il ricordo di quello che hanno visto resta limpido nelle loro menti e, a giudicare dalle loro parole, lo resterà per sempre.

Andi Hoxhaj
Sembra passato molto tempo, ma soltanto due settimane fa tornavamo da Auschwitz con il treno.
È stato un viaggio importante: camminare per le stesse strade, entrare nelle stesse baracche dove 70 anni fa venivano portate genti diverse ma di comune destino, mi ha suscitato una forte emozione.
In questi giorni abbiamo riportato la nostra esperienza ai nostri compagni, ma penso che andare personalmente in quel luogo è tutta un'altra cosa; chiunque possa dovrebbe visitare Auschwitz perché, almeno a me, ha aiutato ad acquisire più consapevolezza.
Questa esperienza mi rimarrà a lungo impressa, capire fino a dove può arrivare la mente umana mi sta facendo vedere le cose da un punto di vista diverso, ma se c'è un lato positivo, l'ho visto nei testimoni che abbiamo incontrato: il sorriso, la loro forza vitale, nonostante tutto ciò che hanno passato, mi fa capire che tutto può migliorare.

Letizia Forzoni
Mi sento ancora sul treno di ritorno: è rimasto in me un profondo silenzio, non quello dei complici e degli spettatori dello sterminio, ma quello che si porta nei cimiteri.
I miei minuscoli occhi hanno incrociato gli sguardi di coetanei, professori, testimoni e poi si sono fermati di fronte alle foto dei prigionieri. Il mio cuore e la mia mente non sono riusciti a non rifiutare tanta morte sistematica e calcolata. Per me è ancora inconcepibile tanta sofferenza. Forse sono sufficienti conoscere e vedere?
Ho trovato, però, anche tanta bellezza, speranza e vita. Ho condiviso con gli altri ragazze e ragazzi lo stesso impegno a favore del rispetto della vita, del ricordo, del valore della persona e delle relazioni. La medesima consapevolezza della propria personale responsabilità di testimoniare, mi univa agli studenti che ho conosciuto e con cui ancora sono in contatto.
I superstiti che ho avuto la fortuna di incontrare, mi hanno trasmesso tanta forza d'animo e fiducia nel futuro e spero di farne eco nella vita di tutti i giorni.
 


Sara Giannini
L'esperienza del Treno della memoria è stata importante non solo per la sua componente istruttiva, ma soprattutto per quella sentimentale.
Tutto il viaggio, a partire dalla scelta come mezzo del treno, non è stata casuale; abbiamo percorso in poco meno di un giorno e in condizioni molto migliori il tragitto che in circa sei giorni conduceva i deportati al campo.
Nel treno abbiamo affrontato le tematiche che poi ci avrebbero accompagnato durante la nostra permanenza a Auschwitz , ma nessuna parola è riuscita a spiegare così bene quello che solo i nostri occhi hanno potuto vedere. Entrati nel campo di sterminio Birkenau un senso di piccolezza mi ha travolta di fronte alla mostruosa immensità del campo, o per meglio dire di quella immensa fabbrica della morte. Ogni spazio era organizzato al meglio possibile senza tralasciare il minimo dettaglio.
Anche gli oggetti che abbiamo visto il giorno successivo al campo di lavoro di Auschwitz non sono stati da meno; mi chiedevo come tutto ciò potesse essere reale. La quantità di capelli, scarpe, occhiali, protesi che abbiamo visto era esorbitante, ma ancora più sorprendere è sapere che quella era soltanto una piccola parte di tutti coloro che persero la vita e in ciò abbiamo trovato conferma "In the book of names" dove sono scritti i nomi dei caduti per essere ricordati in eterno.
Là tutto riguardava l'immensità e ciò mi faceva sprofondare nelle mie incertezze, nelle mie paure, ma dall'altra parte mi faceva comprendere che niente del genere sarebbe mai dovuto ripetersi e questo compito spettava soltanto a noi.

Edoardo Cipriani
Prima di partire per questo viaggio ero convinto che questa esperienza mi avrebbe formato l'opinione su una tragedia così epocale, andando al di là delle visioni generali e di ciò che è scritto sui libri. Ciò in parte è avvenuto: è stato utile vedere direttamente ciò che resta di quel dramma; ma nessuna esperienza diretta mi farà mai capire come l’uomo possa aver agito così nei confronti del suo simile.

 

 


Roberta Provvedi
Stamattina abbiamo visitato il campo di Auschwitz I. In me la nebbia ha accentuato la sensazione di smarrimento, lo smarrimento per essere stati catapultati in una realtà vagamente reale per i nostri sensi.
Inconcepibile, irreale sono le parole che prevalgono nella mia mente.
Cumuli di valigie, occhiali, capelli, scarpe sono stati una visione agghiacciante che mi ha aiutato a raggiungere una più viva consapevolezza di questo dramma, se davvero può essere raggiunta... Oggi assolutamente toccanti sono state le foto dei deportati, difficile da descrivere, ma per la prima volta ho associato a quelle persone, vittime di questo massacro, un volto, ho percepito come ciascuna di esse avesse un’identità, una storia e una vita alle proprie spalle. Tutto questo mi porta a riflettere sui limiti dell’essere umano e in che modo possa essere arrivato a tanto.

Sara Tavarnesi
Da quando sono tornata molti mi chiedono come sia andata la visita al campo di concentramento di Auschwitz. Non è semplice rispondere. Potrei dire semplicemente "bene", per quanto possa essere inadatta questa risposta alla situazione. Ma l'unica cosa che mi viene da dire è "E' stata un'esperienza difficile, lo stomaco mi ha fatto male". Se qualcuno mi chiede quale sia stata la cosa che più mi ha sconvolto, rispondo "il bosco di betulle di Birkenau". E' sempre un dettaglio a rimanerti impresso; c'è sempre un elemento che stona e che ti fa venire i crampi allo stomaco. Ecco, questo per me è stato quella foresta formata da alberi così eleganti che l'ultima cosa che possono farti venire in mente sono i forni del campo di sterminio. Non associ, per lo meno io, la betulla, a qualcosa di tetro, di così crudele. E soprattutto non ti aspetti che una radura, all'interno di questo bosco, un posto quasi incantato - immaginatelo d'estate, con il sole e gli uccelli che cantano - possa essere una fossa comune. Quando sono arrivata lì e la guida ha spiegato cosa fosse in realtà quel luogo, mi sono paralizzata qualche secondo. Lo stomaco mi si è aggrovigliato. Pensare che quella terra, che quel posto così apparentemente innocente rispetto alla cruda cattiveria delle baracche stesse, dei lavatoi, dei "bagni", fosse cosparsa di ceneri di migliaia di uomini, prima deposti lì integri, poi bruciati perché l'odore era insopportabile, mi ha fatto stare male. Mi ha dato una consapevolezza nuova. Certo, non ero digiuna dell'argomento: avevo letto libri, guardato documentari e film, ascoltato testimonianze. Ma finché non sei lì, finché non calpesti quel suolo, non vedi quei luoghi, non percorri i viali immensi vicino ai binari della morte, non hai una visione completa di ciò che è successo. Ed è così che mi sento, dopo questo viaggio. Più completa, con una nuova consapevolezza, con una grande responsabilità sulle spalle: quella di divulgare ciò che ho visto, le sensazioni che ho provato, cercando, per quanto possa riuscirci, a far vivere la memoria. Perché l'unico modo per evitare che questa cosa disumana (non penso che ci sia un aggettivo che la descriva meglio) riaccada, è ricordarla; anzi, più precisamente, avere il coraggio di ricordarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 7 febbraio 2015

  • Condividi questo articolo:
  • j
Torna su