Quella sera a cena a casa di Corazon Aquino... Storia di Vasco Ninci
«Nonostante le difficoltà e il periodo burrascoso sotto la dittatura di Ferdinand Marcos e di sua moglie Imelda, riuscii, con l'aiuto di qualche collaboratore locale, ad organizzare ben presto la spedizione di dieci container al mese verso l'Italia dando lavoro in quel Paese a migliaia di persone alle quali insegnammo a cucire le preziose foglie per ottenere un piccolo pannello che sarebbe bastato poi applicare direttamente sul fiasco»
Chi racconta la sua storia con gli occhi persi nei ricordi di una vita non è un diplomatico né un politico in pensione. Vasco Ninci è stato un imprenditore lungimirante ed innovatore che ha molto da raccontare degli anni in cui, giovane ed intraprendente, partì alla volta delle Filippine. Erano gli anni del dopoguerra in cui la produzione, l'imbottigliamento e la commercializzazione del Chianti rappresentarono la rinascita economica della Valdelsa e di Poggibonsi in particolare. Grazie all'impegno di tanti artigiani e piccoli industriali nacquero vinicole, vetrerie per la produzione dei fiaschi, sugherifici per l'imbottigliamento e la commercializzazione del prezioso nettare. E' al centro della storia legata alla vocazione enologica di questa terra che si inseriscono le vicende umane e professionali del nostro concittadino che circa cinquant'anni fa partì con destinazione Manila alla ricerca di Typha Latifolia, un'erba palustre indispensabile per la rivestizione dei fiaschi. Oltre alla materia prima, nei villaggi intorno alla capitale, Vasco Ninci trovò anche manodopera per poterla lavorare e collocare sul mercato valdelsano già cucita, facilitando in tal modo il compito di un esercito di impagliatrici che, grazie a quel lavoro a domicilio, riusciva a far quadrare il difficile bilancio familiare.
Erano anni difficili per Le Filippine, non deve essere stato facile entrare in quella realtà tanto diversa dalla nostra
«Infatti non è stato facile, pensa che per rispettare la loro cultura e la loro religione ho dovuto prendere in affitto un capannone mettendolo a loro disposizione per i momenti in cui, più volte al giorno, il lavoro improvvisamente si fermava per lasciare il posto alla preghiera. Nonostante le difficoltà e il periodo burrascoso sotto la dittatura di Ferdinand Marcos e di sua moglie Imelda, riuscii, con l'aiuto di qualche collaboratore locale, ad organizzare ben presto la spedizione di dieci container al mese verso l'Italia dando lavoro in quel Paese a migliaia di persone alle quali insegnammo a cucire le preziose foglie per ottenere un piccolo pannello che sarebbe bastato poi applicare direttamente sul fiasco. Pensa che a Laguna de Bay davo lavoro a dieci villaggi e ogni volta trovavo ad accogliermi al mio arrivo uno striscione "Welcome Vasco"».
Hai conosciuto personalmente il Presidente Marcos?
«Certamente! Sono stato ricevuto varie volte dal Presidente il quale, dopo i nostri incontri, mi faceva accompagnare da una sua scorta per salvaguardare la mia incolumità in considerazione delle insurrezioni che scuotevano il Paese in quegli anni. Ma fu con il suo successore che io e mia moglie stringemmo un rapporto amichevole tanto da essere invitati più di una volta nella sua residenza. Ricordo ancora quella sera a cena con Corazon Aquino, che nel 1986 diventò a sua volta Presidente, la prima presidente donna del continente asiatico, amata e ricordata per aver riportato la democrazia in quel Paese».
Deve essere stata una grande soddisfazione per un giovane imprenditore ottenere risultati tanto eclatanti in un luogo così lontano e in vari settori.
«Effettivamente mi sono occupato anche di importazione di sedie impagliate che una ditta del Nord Italia distribuiva poi in tutta Europa, di esportazione di mobili e di ristorazione aprendo due ristoranti, La Bettola e Mamma Roma, ma la soddisfazione più grande doveva ancora arrivare e nel mio viaggiare fra Malesia, Vietnam, Cina e Indonesia, Paesi in cui il mio lavoro di import export mi portava continuamente, una notte realizzai un progetto ancora più ambizioso. L'idea era quella di creare una macchina rivestitrice completamente automatica che consentisse di snellire i tempi di vestizione dei fiaschi anche per ovviare alla contrazione di manodopera femminile che cominciava a manifestarsi. Il sogno di quella notte divenne ben presto realtà, la macchina fu costruita a Parma e in breve tempo brevettata. Fu un'idea che rivoluzionò le tecniche di lavorazione fino ad allora adottate e che ebbe un forte impatto sul mercato tanto che ricordo di essere stato invitato negli studi della Rai e intervistato da una giovane giornalista, Elisabetta Gardini, per spiegarne il funzionamento e i benefici sul piano della riduzione dei costi di produzione. A Montelupo Fiorentino è esposta tuttora la mia macchina automatica nel Museo del Fiasco Toscano nella Torre de' Frescobaldi, per raccontare la storia del fiasco illustre ambasciatore del nostro vino nel mondo. Sono orgoglioso di aver fatto parte di questa storia con il mio impegno e il mio spirito d'avventura che mi ha permesso di affrontare imprese che, più di una volta, ho temuto di non riuscire a concretizzare. Oggi guardo indietro con una punta di orgoglio ma anche con tanta gratitudine per mia moglie Metella che mi ha sempre sostenuto condividendo con me una vita non sempre facile».
Metella, che accompagna con un sorriso d'orgoglio il racconto di suo marito, integrando sotto voce i ricordi di Vasco che a tratti si perdono nei meandri della memoria, usa tre aggettivi per definirlo: ottimista, innovatore e generoso. Tre parole che danno un'idea dell'uomo che ha vissuto la sua esperienza di imprenditore all'insegna dei principi di rispetto e fratellanza insegnatigli in gioventù al Liceo dei Padri Scolopi di Empoli, che gli hanno permesso di essere accolto benevolmente anche in realtà in cui lo straniero spesso viene guardato con sospetto.
Antonella Lomonaco
Pubblicato il 15 gennaio 2018