Restrizioni emergenza Covid-19 e benessere psicologico delle famiglie

Una riflessione sulla situazione delle famiglie italiane e sullo stato emotivo dei bambini dopo giorni di restrizioni certo doverose, vista la gravità della situazione

 GIULIA LOTTI
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Sono una mamma di due figli sotto i dieci anni di età e una psicoterapeuta, che vive e lavora in provincia di Siena.

Vorrei portare l’attenzione sulla situazione delle famiglie italiane e sullo stato emotivo dei bambini dopo giorni di restrizioni certo doverose, vista la gravità della situazione.

Comprendo benissimo che stiamo fronteggiando una situazione che non ha precedenti e che ci vede innanzitutto muoverci nella primaria tutela della vita. 

Pur svolgendo una professione caratterizzata dalla relazione di aiuto e confrontandomi spesso con il dolore delle persone, posso solo vagamente immaginare la sofferenza delle famiglie che si sono viste mancare i propri cari, senza poter elaborare un graduale distacco, senza la dignità di una sepoltura. Senza un rito capace di dare conforto, dignità e sacralità a quello stesso dolore.

Se, però, è senza dubbio di primaria importanza la salvaguardia della vita, credo che, subito dopo, sia fondamentale preoccuparci dell’equilibrio psicologico delle famiglie, monitorando la loro capacità di far fronte al susseguirsi di giorni trascorsi ad occuparsi di figli che, soprattutto se piccoli, mantengono il pressante bisogno di muoversi, di fare esperienza diretta del mondo attraverso i propri sensi, avere un contatto con la realtà circostante, con lo scorrere del tempo e delle stagioni.

La scuola fa quel che può ma è chiamata, in questo momento, a mio avviso, purtroppo ad un compito più tecnico che pedagogico. 

Malgrado le insegnanti palesino a noi genitori questo bisogno di mantenere un contatto soprattutto emotivo con i bambini, nonostante fatichino ad affidare una lezione al canale telematico. E non solo perché sprovviste di strumenti tecnici ad hoc ma, soprattutto, perché manca loro un rimando, un feedback fatto di occhi curiosi o dubbiosi su cui erano abituati a tarare i propri interventi.

Io credo che l’istruzione, la pedagogia, la psicologia, lo stato in primis non possa andare avanti fornendo lezioni, interventi di psicoeducazione spicciola o ricette semplici per un benessere immediato, prescindendo dal parlare di quello che sta accadendo e sostenendo realmente le famiglie nel complesso compito di evitare che questa emergenza si depositi nelle tracce di memoria dei bambini, che poi sono gli uomini e le donne di domani, sotto forma di ricordi traumatici.

L’emergenza non resetta i conflitti, le difficoltà genitoriali, le molestie, la paura e l’inadeguatezza sperimentate fino ad ora all’interno delle mura domestiche.

Adulti impauriti, angosciati dal domani, dall’impellenza economica, dal timore di fare sempre più fatica a fare la spesa, non possono improvvisarsi docenti, cuochi, educatori, lettori di fiabe e quant’altro. 

O meglio, possono provarci se percepiscono dei gradi di sicurezza quali il tempo (quanto più o meno durerà tutto questo?), il sostegno di una rete esterna, piccole valvole di sfogo, micro finestre sul mondo circostante che ti tolgono, anche se per un attimo, dallo stato di prigionia in cui ci si sente talvolta.

Invece del tempo nessuno parla: la scuola, in teoria, dovrebbe ripartire il 3 aprile e nessuno parla di proroghe anche se è chiaro a tutti che, con buone probabilità, non ci sarà affatto una nuova partenza per quest’anno.

Del sostegno pedagogico, umano, ugualmente nessuno parla: nella maggior parte dei casi l’interazione con l’esterno comporta ad un genitore una somma di compiti da eseguire ma quasi mai la sensazione salvifica di un alleggerimento emotivo. 

E’ invece risaputo, anche a chi è distante dalle minime nozioni psicologiche, che gli esseri umani tollerano meglio gli eventi stressanti se possono contare su speranza e compagnia. 

Chi ha avuto anche una sommaria esperienza con i bimbi, sa quanto la mimica facciale di un adulto sia un vettore fondamentale per gli stati emotivi infantili. 

Inutile che la madre disegni tutto il giorno arcobaleni se la sua espressione facciale è tesa, se il figlio percepisce, negli occhi genitoriali, paura e sconforto.

Riguardo ai “piccoli spiragli sul mondo”, abbiamo avuto linee guida chiare per quanto riguarda la gestione degli animali fuori dalle mura domestiche ma nessuno mi pare abbia ancora tracciato chiaramente i limiti e le possibilità connesse all’uscita dei minori.

Posso accompagnare mio figlio a sgranchirsi le gambe, a ricordarsi con l’aiuto di tutti i suoi sensi, che sta spuntando la primavera, ovviamente nel rispetto delle distanze di sicurezza e rimanendo in prossimità della mia abitazione?

Molti si dimenticano forse che la maggior parte degli italiani vive in appartamenti piccoli, spesso neppure dotati di un balcone.

 E’ doloroso vedere che, con il tempo, i bambini quasi si abituano a questa costrizione, perdendo l’interesse per l’esplorazione, lo spazio verde, la curiosità.

E vorrei dimenticarmi ma il mio lavoro lo rende un pò difficile, delle molte situazioni in cui la casa non costituisce un nido sicuro ma un luogo pericoloso, caratterizzato da molte variabili e da un fluttuare di relazioni che poco spazio lasciano alla stabilità emotiva.

Vorrei che di tutto questo si parlasse di più, abbandonando i consigli che partono dal presupposto che gli italiani abbiano nuclei familiari idilliaci e preparati, senza sostegno, a fronteggiare emergenze di questo tipo.

Mi piacerebbe che si respirasse più attenzione e più rispetto verso chi non ha voce, verso un’infanzia che subisce senza possibilità di replica la superficialità di certe scelte.

Verso i bambini che, per l’ennesima volta, nella nostra società sono l’ultimo pensiero, dovendosi adeguare, nuovamente, ai bisogni degli adulti quando invece, la natura delle cose, vorrebbe l’esatto contrario.

 

Giulia Lotti - Sono nata e cresciuta a Poggibonsi, dove vivo con la mia famiglia. Mamma di Stella e Pietro, rispettivamente di 5 e 9 anni. Svolgo sul territorio l’attività di psicoterapeuta, lavorando sia in libera professione, alla Pubblica Assistenza di Poggibonsi, che presso la Casa di Reclusione di San Gimignano. La mia passione per le storie di vita nasce fin da bambina, quando chiedevo a mia nonna di leggermi fiabe e racconti i cui protagonisti erano persone impegnate nelle varie tappe del vivere quotidiano, che amavano, soffrivano e, a loro modo, provavano a disegnare i confini entro i quali esistere. Con il tempo, ho coltivato l’amore per la lettura e per la scrittura introspettiva, scegliendo poi un lavoro attraverso cui le storie e i protagonisti dei racconti di vita trovassero uno spazio, quello della terapia, appunto, dove potersi fermare, raccontarsi e raccogliere l’entusiasmo necessario per riprendere il viaggio. La rubrica “Una stanza tutta per sé” vuole essere un’occasione per riflettere, condividere storie, tessere un filo comunicativo tra le persone. Una stanza per noi ma con finestre comunicanti, da cui poter parlare, ascoltare, entrare in sintonia con noi stessi e con gli altri.

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Pubblicato il 28 marzo 2020

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