Ricordi di un patriota. Di Dero Panichi, partigiano

Dero Panichi, di Casole d'Elsa, ha combattuto come molti altri per la Liberazione nelle fila della 23^ Brigata Boscaglia. Quando è morto, nel 2006, tra le sue cose è stata ritrovata questa testimonianza scritta che riportiamo integralmente.

 
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Ricordi di un uomo che ha partecipato alla 23^ Brigata Boscaglia. Dopo lunghi mesi di attesa per entrare a far parte di una formazione partigiana, i miei compagni ed io fummo portati il 3 maggio dal CLN della Val d'Elsa al Poggio di Berignone. Vi si trovava una squadra. Fummo accolti con gioia e piacere da tutti i suoi componenti. Ci era stato detto che erano armati molto bene e invece era il contrario. Le uniche armi esistenti erano una mitragliatrice con circa 1000 colpi, un mitragliatore che non funzionava, due mitra italiani con pochi caricatori e 30/35 moschetti 91. A molti degli ultimi mancava la molla elevatore, quindi, dovevamo mettere le cartucce ad una ad una nella canna. Ci rimanemmo molto male e quando chiedemmo al comandante il perché di quel piccolo armamento, lui ci rispose che le armi sarebbero arrivate dal cielo.
In quei giorni ci fu un tentato rastrellamento. Le truppe fasciste e tedesche non si azzardarono ad entrare nel bosco. Eravamo accerchiati da Dispensa al capannone di Berignone, dal poggio, da tutte le parti. Eravamo pronti a riceverli al meglio finché non c'erano munizioni, per poi dileguarsi nella macchia. Di tutto questo non ci fu bisogno. Avevano paura.
Avemmo il segnale convenuto per radio “Si scoprono le tombe”.
Eravamo tutti euforici per gli imminenti lanci di armi ed altro materiale. Il campo dei lanci fu fatto inizialmente al podere Le Campore di Berignone, ma i segnali convenuti non potevano essere avvistati. Rimanemmo in un punto che i piloti dall'aereo non vedevano e allora fu deciso di spostare i segnali alla fonte del poggio. La prima sera fu fatto il primo lancio e la gioia di tutti era indescrivibile. Sollevavamo quelle armi grosse e sconosciute e le lanciavamo. Finalmente potevamo attaccare e non difendersi soltanto.
Questo è tutto quello che ricordo di Berignone, dove è nata la 23^ Brigata Boscaglia.

Carlina
La brigata cominciò ad ingrandirsi. In Berignone non c'era acqua ed eravamo lontani dalle grandi vie di comunicazione dove i convogli tedeschi e fascisti transitavano. In Carlina tutto era diverso. Acqua a volontà e anche il vettovagliamento era assicurato dalle fattorie del circondario. In più ci fu un colpo di mano ad un silos di grano alla Fornace, a Montingegnoli, per la sopravvivenza della Brigata. Il campo di lancio era perfetto ed eravamo più sicuri poiché un eventuale rastrellamento poteva essere notato da tutto il sistema di collegamenti esterni e da tutti i posti di guardia sistemati sui punti più vulnerabili, per avvistare per tempo un rastrellamento in atto.

Ricordo
Quando si montava la guardia eravamo sempre in due. La mia squadra era posta alla guardia della cima più alta della Carlina. Si poteva vedere Gerfalco dal cimitero di Montieri, fino al bivio di Monte Rotondo, fino alle vicinanze di Castelnuovo Val di Cecina. Come era bello quando ci era assegnato il turno di guardia sul tramontare... Si vedeva Campiglia Marittima e Piombino e quella palla infuocata sparire nel mare emettendo colori fantastici. Era brutto dover fare il turno dalle 24.00 alle 3.00, ma a volte regalava qualcosa di bello. Al vedere da lassù il lume di un podere lontano, ripensavo alla vita di quand'ero ventenne. Mi veniva alla mente di quando ero stato a fare baldoria, di quando ero stato a far l'amore con la mia ragazza e mi riaccompagnava con un lume per darmi il bacio della buonanotte.
Allora sentivi una stretta al cuore e maledicevi la guerra.

Pubblicato il 26 aprile 2016

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