San Gimignano, si suicida agente nel parcheggio della casa di reclusione
«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano - commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - L'uomo, un Agente Scelto sui 30 anni, si è sparato nella macchina, premurandosi però di chiudere prima le porte con le sicure. Siamo sconvolti. Sono ancora oscure le cause che hanno portato l’uomo al tragico gesto, ma se è importante evitare strumentalizzazioni è fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa
Tragedia nel Corpo di Polizia Penitenziaria. Ieri sera, un appartenente al Corpo si è tolto la vita uccidendosi con l’arma di ordinanza nel parcheggio adiacente al carcere di Ranza, a San Gimignano. A dare la tragica notizia è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria).
«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano - commenta Capece - L’uomo, un Agente Scelto sui 30 anni, si è sparato nella macchina, premurandosi però di chiudere prima le porte con le sicure. Siamo sconvolti. Sono ancora oscure le cause che hanno portato l’uomo al tragico gesto, ma se è importante evitare strumentalizzazioni è fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Non può essere sottaciuto ma deve anzi seriamente riflettere la constatazione che negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 55 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 110, ai quali sono da aggiungere anche i suicidi di un direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Quel che è certo è che sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione Penitenziaria continua ad essere in grave affanno e in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta. I poliziotti continuano a suicidarsi, l’Amministrazione Penitenziaria non mette in campo alcuna concreta iniziativa per contrastare il disagio lavorativo e dare un sostegno a chi è in prima linea nelle carceri».
Il pensiero del SAPPE va ai familiari, agli amici e ai colleghi del nostro collega. A loro va il nostro pensiero e la nostra vicinanza. «Questo di San Gimignano è l’ennesimo suicidio di un poliziotto penitenziario - conclude Capece, rivolgendosi ai vertici del Ministero della Giustizia e dell’Amministrazione Penitenziariama l’Amministrazione Penitenziaria - continua a non fare nulla di concreto per contrastare il disagio psicologico dei poliziotti, anche se non è direttamente collegato col servizio. Questo aiuta a capire quali evidentemente siano le priorità per l’Amministrazione Penitenziaria. Non il fatto che contiamo ogni giorno gravi eventi critici nelle carceri italiane, compresi i numerosi suicidi di appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati proprio dal DAP…».
Non tarda ad arrivare anche il commento di Simone Lepore, delegato locale della Funzione Pubblica Cgil, che in una nota stampa dichiara: «Il suo gesto, come quello di decine di altri colleghi negli ultimi anni, è sicuramente frutto di diversi fattori e problemi che incidono sulla vita di un uomo che, non riuscendo a superarli, sceglie la strada più drastica. Appare però, a questo punto, necessaria e dovuta una riflessione su quanto incida il lavoro del poliziotto penitenziario su scelte così estreme. 55 suicidi tra i soli poliziotti penitenziari negli ultimi 3 anni non sono un caso, sono un fatto. E i fatti sono tali al di là delle fantasiose interpretazioni che ognuno può dare. In questi casi la retorica del “parlarne con qualcuno” non funziona, perché non risolve il problema ma si limita ad alleggerire i pesi che un uomo porta per il tempo di una chiacchierata, finché non ritorna ognuno alla propria vita e, quindi, alle proprie problematiche.
«Anche la retorica di onorare la memoria - aggiunge -, ha fondamento solo laddove non resta un semplice momento di cordoglio, ma diviene un momento di riflessione e crescita. Se il lavoro e le condizioni di lavoro possono essere solo un aspetto della vita di un uomo, di fatto sono quelle che permettono all’uomo di emanciparsi in questa società, di trovare il suo ruolo e la sua dimensione, di formarsi ed educarsi. Allora onorare la memoria di questo ed altri colleghi morti per suicidio, vuol dire fare concretamente dei passi verso la trasformazione delle condizioni del nostro lavoro in condizioni dignitose. La questione va anche oltre il semplice aspetto lavorativo. Molti dei poliziotti penitenziari vivono nelle caserme, sono luoghi di socialità e convivenza, oltre che di riposo. L’Amministrazione Penitenziaria da anni ha abbandonato gli Istituti (con annesse le caserme e chi ci vive) con la parola d’ordine non scritta “arrangiatevi come potete”. Di contro chi dirige gli Istituti fa lo stesso nei confronti della truppa e delle sue richieste di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. E’ doveroso, se l’intenzione è quella di evitare tali tragedie, intervenire con decisione e forza sul miglioramento delle condizioni lavorative e l’Amministrazione Penitenziaria non può, in alcun modo, deresponsabilizzarsi su questo aspetto».
Pubblicato il 13 agosto 2018