Storia della famiglia Grünwald, nascosta in Val d'Elsa durante la guerra

«Nel settembre del 1943, quando l’Italia venne occupata dall'esercito tedesco, la nostra famiglia abitava a Firenze - ha raccontato Marcello -. Era composta dalla mia bisnonna, che aveva allora ottant'anni, dai miei nonni e dai nostri genitori (due ragazzi, se si pensa che mia madre aveva ventun anni e il padre di Sara sedici). A novembre di quell'anno vennero a sapere che i tedeschi stavano setacciando tutti gli ebrei per poi spedirli nei campi di concentramento. Mia madre conosceva una fattoria a Sensano, vicino a Colle di Val d'Elsa, dove era stata per dare delle lezioni al figlio dei proprietari. Pensò di andare lì»

 
  • Condividi questo articolo:
  • j

Una storia di generosità e coraggio, che si è verificata nel nostro territorio dopo la promulgazione delle leggi razziali e durante la persecuzione nazifascista. È quella che è stata raccontata alle classi terze della scuola media secondaria di primo grado Arnolfo di Cambio di Casole d’Elsa, nell’ambito dell’iniziativa “Io ricordo”, in occasione del Giorno della Memoria, a cui hanno preso parte anche l’Amministrazione comunale e l’ANPI.

A raccontarla sono stati Sara Grünwald e suo cugino Marcello Di Segni, discendenti di una famiglia ebrea di cinque persone che trovarono rifugio e salvezza prima a Colle, poi in un piccolo borgo del comune casolese che si chiama Gallena.

«State per ascoltare la storia di un episodio che sicuramente è molto lontano dal vostro modo di concepire oggi la vita, uno dei tanti che si sono verificati qui a Casole - ha detto il sindaco Piero Pii, rivolgendosi ai ragazzi - Abbiamo avuto tante persone che con il loro lavoro, la loro umiltà e la loro capacità di pensare agli altri hanno di fatto impedito che anche qua avvenissero cose che sono successe in tante altre parti d’Italia. Anche qui da noi sono state rinchiuse nella Collegiata centinaia di persone, in attesa di essere portate nei campi di sterminio. Anche da noi il parroco di Pievescola ha salvato delle persone inscenando un falso funerale per poter trasportare quelle persone ferite e salvarle così dalla morte certa. Anche da noi tante persone si sono adoperate per far sì che non fosse ancora superiore il numero di chi è rimasto ucciso durante questa follia che l’umanità ogni tanto purtroppo ripropone in modo così drammatico. Oggi noi ricordiamo qualcosa che sembra persino impossibile pensare: un progetto di sterminio di un intero popolo».

«Vorrei finire - ha concluso il primo cittadino - la mia lunga esperienza di sindaco a Casole, ricordando con una pubblicazione il 25 aprile tutti coloro che, con il loro sostegno e con la loro visione di umanità, che oggi purtroppo non è quella che ci si presenta davanti agli occhi, hanno fatto sì che anche Casole divenisse un luogo più civile. Oggi vivono qui circa 3.850 persone, di cui 329 cittadini stranieri (circa il 10 per cento). Noi siamo un bellissimo esempio di integrazione».

«Nel settembre del 1943, quando l’Italia venne occupata dall’esercito tedesco, la nostra famiglia abitava a Firenze - ha raccontato Marcello -. Era composta dalla mia bisnonna, che aveva allora ottant’anni, dai miei nonni e dai nostri genitori (due ragazzi, se si pensa che mia madre aveva ventun anni e il padre di Sara sedici). A novembre di quell’anno vennero a sapere che i tedeschi stavano setacciando tutti gli ebrei per poi spedirli nei campi di concentramento. Mia madre conosceva una fattoria a Sensano, vicino a Colle di Val d’Elsa, dove era stata per dare delle lezioni al figlio dei proprietari. Pensò di andare lì, nella speranza che qualcuno li avrebbe accolti».

Ad aprire la porta nella notte furono Santina e suo marito Egidio, i fattori del posto, genitori di Sandra Calamassi, presente all’incontro. Un ruolo determinante lo ebbero poi la famiglia di Ilio Guerranti, Don Ostelio Pacini, direttore del seminario, e la madre superiora, che accolse le donne nel convento delle Ancelle, e il vescovo di Colle. «Se non ci fossero stati questi gesti di buona volontà - ha aggiunto -, forse oggi io e Sara non saremmo qui. Questa storia sarebbe potuta andare in una maniera totalmente diversa da come è finita».

«Un fascista scoprì che dentro il seminario c’erano delle persone che si spacciavano per altre - ha aggiunto Marcello -. Siccome Grünwald era un cognome molto riconoscibile, che viene dall’Ungheria, i miei nonni lo trasformarono in Grimaldi. Riuscirono ad avere dei documenti falsi, dissero a tutti di essere sfollati, che la loro casa era crollata e che erano stati accolti nel convento perché non avevano dove vivere. Ma qualcuno appunto se ne accorse e furono costretti a scappare. Fu allora che arrivarono a Gallena, nel comune di Casole d’Elsa, dove rimasero nascosti».

«Siamo venuti qua - ha concluso - per trasmettere a voi ragazzi questi messaggi, affinché voi sappiate queste cose e apprezziate i gesti di generosità di queste persone di cui vi abbiamo parlato. E cercate di fare propri questi valori, perché oggi la storia è diversa, ma anche oggi c’è chi vuol far sentire diversa una persona perché non è nata qua, o perché ha la pelle un po’ più scura. E bisogna essere fermi nell’applicare questa generosità anche oggi nei confronti degli altri. Ci auguriamo che non si verifichino più tempi così bui come quelli di ottant’anni fa, ma, in forma diversa potrebbero ripresentarsi».

«Sono cresciuta vivendo in casa coi miei nonni e sentendo sempre parlare della paura, del dolore, della precarietà, di tutto quello che loro hanno vissuto e vi assicuro che non è una cosa assolutamente facile da portarsi dietro - ha detto Sara, raccontando la sua testimonianza -. Gli episodi che mi raccontavano rimangono indelebili. Fin da piccola sono cresciuta sentendo parlare di due figure, molto importanti, che mio padre descriveva come due angeli e che ho conosciuto e sono Ilio Guerranti e Don Ostelio Pacini. Mio padre ha mantenuto con loro un rapporto costante, finché ha potuto. Nel ‘94, per onorarli entrambi, fece piantare due alberi in Israele, nella Foresta della Pace a Gerusalemme. Per fortuna ci sono tante brave persone, nonostante tutto, che aiutano e cercano di aiutare il più possibile».

​Foto di Giampiero Muzzi

Pubblicato il 8 febbraio 2019

  • Condividi questo articolo:
  • j
Torna su