''A di attesa, D di delusione''
Sono passati 20 giorni da quando, dalla bottega di un agriturismo a km zero delle nostre campagne, un bambino esce con in tasca un piccolo dono
Sono passati 20 giorni da quando, dalla bottega di un agriturismo a km zero delle nostre campagne, un bambino esce con in tasca un piccolo dono. La signora che riforniva ortaggi, dopo aver posizionato carote che sembravano uscite dal mondo dei conigli di Beatrix Potter, gli ha fatto cenno di aprire la mano, poggiando due fagioli rotondi, dai colori screziati che vanno dal rosso mattone al bianco.
Quell'insolito regalo, dopo aver trotterellato nelle mani infreddolite del bambino, stava per essere abbandonato in una tasca del giaccone, quando il papà, nel viaggio di ritorno a casa, dice: "senti, perché non mettiamo i tuoi fagioli nell'ovatta e aspettiamo che mettano radici?"
Da quella proposta, sono trascorse una serie di pazienti (e a volte meno pazienti) attese: dall'aspettare di finire il sugo al pesto per avere un vasetto di vetro pulito da utilizzare come casa, dal trovare la giusta dose di acqua per bagnare l'ovatta, fino a scoprire il fagiolo solo quel tanto che basta per controllare lo sviluppo delle radici. E poi la consapevolezza, una bella mattina di fine settimana, che era arrivato finalmente il tempo di spostare quella che ormai era diventata una piantina, dotata di radici, stelo e fogliolina, in mezzo al terreno. Cominciava così una nuova fase, un nuovo tempo di attesa.
Ecco, è in questo aspettare che le cose nascano, i frutti arrivino, la fatica ceda il passo ad una bella strada pianeggiante che la delusione può incontrare una scintilla.
Nell'accettare di rovesciare la terra qua e là, ben oltre il recipiente, spezzare involontariamente una piantina, riducendo della metà la possibilità della fioritura, risiede un'arte importante, anche se forse un pò dimenticata. L'arte di resistere alla delusione che ciò che desideriamo, e di cui abbiamo estremo bisogno, ancora non c'è.
Tra colleghi la chiamiamo capacità di tollerare la frustrazione ed è un segnale importante per decifrare la maturità della persona, o del "sé", come si dice in gergo.
Un bambino non può portare via tutto il negozio di giocattoli ma, dopo un pianto inconsolabile, possiamo decidere di evitare tutte le situazioni simili a quella o lasciare che cominci ad elencare le prossime occasioni in cui, con buona probabilità, riceverà un dono. E questo basta per attivare fiducia e consolazione, per placare provvisoriamente quel desiderio che tanto sente forte.
Una ragazza, affacciandosi al tempo delle prime relazioni, riceve un "no, non mi piaci" e dopo sentirsi crollare il mondo addosso, dopo l'umiliazione sentita e riflessa da uno specchio che le rimanda duramente tutti i suoi difetti, sorride per un messaggio ricevuto da un' amica, che le invia una canzone attraverso cui sputare fuori tutte le note della parola "delusione".
E ancora, un colloquio di lavoro finito male, un esame non passato, un matrimonio in crisi, una separazione.
Un'istantanea che rivela un'immagine di noi un pò diversa dalle aspettative. Cosa ne facciamo di quella frustrazione? Sappiamo farla diventare attesa? Può trasformarsi in coraggio di cercare altre strade? Credo che di fronte a questo sentimento più o meno grande di aspettativa delusa, abbiamo un compito importante: consolare il bambino interiore piangente e tenere a bada il vecchio saggio giudicante, che ci ricorda implacabilmente "te lo avevo detto che avresti fallito".
Se la frustrazione di aver sbagliato oggi incontra il coraggio di riprovare e la fiducia di riuscire, diventa un'azione fruttuosa futura.
Se accetta la mancanza, fornendo il calore che l'ovatta dà al piccolo fagiolo screziato, diventa radice per agganciarci saldamente al terreno, àncora per quando le sicurezze esterne vacillano.
E tu come trasformi le tue delusioni? Sei capace di tenerle sulla tela anche se le sfumature di colore non sono come avresti sperato o cerchi invece di nasconderle?
Ci diciamo che saremo felici quando tutto sarà più o meno perfetto. Credo invece che lo saremo davvero quando tra la macchia dell'errore e la candida pagina bianca, sapremo tollerare tentativi tentennanti di scrittura.
Giulia Lotti - Sono nata e cresciuta a Poggibonsi, dove vivo con la mia famiglia. Mamma di Stella e Pietro, rispettivamente di 5 e 9 anni. Svolgo sul territorio l’attività di psicoterapeuta, lavorando sia in libera professione, alla Pubblica Assistenza di Poggibonsi, che presso la Casa di Reclusione di San Gimignano. La mia passione per le storie di vita nasce fin da bambina, quando chiedevo a mia nonna di leggermi fiabe e racconti i cui protagonisti erano persone impegnate nelle varie tappe del vivere quotidiano, che amavano, soffrivano e, a loro modo, provavano a disegnare i confini entro i quali esistere. Con il tempo, ho coltivato l’amore per la lettura e per la scrittura introspettiva, scegliendo poi un lavoro attraverso cui le storie e i protagonisti dei racconti di vita trovassero uno spazio, quello della terapia, appunto, dove potersi fermare, raccontarsi e raccogliere l’entusiasmo necessario per riprendere il viaggio. La rubrica “Una stanza tutta per sé” vuole essere un’occasione per riflettere, condividere storie, tessere un filo comunicativo tra le persone. Una stanza per noi ma con finestre comunicanti, da cui poter parlare, ascoltare, entrare in sintonia con noi stessi e con gli altri
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Pubblicato il 13 febbraio 2021