A San Gimignano per intervistare Sergio Dondoli, l'artista del gelato

«Ho iniziato questo mestiere non per passione, ma per opportunità. È la cosa più stupida che si possa dire, ma io sono diventato gelatiere per gelosia di mio cognato che era gelatiere di terza generazione. Lui era gelatiere e io in quel momento lì avevo due ristoranti in Germania e lui aveva un sacco di tempo libero e io non ce l’avevo! Tempo libero nel senso che lui chiudeva sei mesi d’inverno e invece io chiudevo tre settimane. Per questo motivo sono voluto diventare gelatiere, poco nobile (ride)»

 SERGIO DONDOLI
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Se vi diciamo San Gimignano cosa vi viene in mente? Le torri? Anche, ma chi di voi non è mai stato nel bel borgo medievale a prendere un buon gelato? Siamo stati proprio lì, a fare una bella chiacchierata con il più grande gelatiere della Val d’Elsa (e forse non solo) Sergio Dondoli, che si è mostrato da subito gentile e disponibile, accogliendoci nel suo regno per trascorrere un caldo pomeriggio d’estate tra parole e piccole bontà per i nostri palati.

Come e quando è nata la sua attività?
«Qui a San Gimignano è nata nel 1992, dopo che io sono tornato dalla Germania dove ero già gelatiere. Sono ritornato in Italia perché questo è il mio posto. Sono nativo di Strove, qui vicino. Dopo vent’anni che sono stato all’estero ho deciso di ritornare, dopo che ho girato un po’ tutto il mondo. Sono tornato e ho aperto la mia gelateria qui a San Gimignano, perché ho pensato che potesse essere il posto giusto».

Fare questo mestiere è sempre stata la sua passione fin da piccolo?
«No no. Diciamo che ho iniziato questo mestiere non per passione, ma per opportunità. È la cosa più stupida che si possa dire, ma io sono diventato gelatiere per gelosia di mio cognato che era gelatiere di terza generazione. Lui era gelatiere e io in quel momento lì avevo due ristoranti in Germania e lui aveva un sacco di tempo libero e io non ce l’avevo! Tempo libero nel senso che lui chiudeva sei mesi d’inverno e invece io chiudevo tre settimane. Per questo motivo sono voluto diventare gelatiere, poco nobile (ride). Però mi è piaciuto perché è unico e infinito. Non si finisce mai di imparare, è sempre pieno di ostacoli e per una persona che è curiosa come me è uno stimolo. Da piccolo non sapevo nemmeno che esistesse il gelatiere! Però mi ricordo che da bambino (sono figlio unico, pare che fossi un po’ geloso) mi davano un appellativo che era “gelatiere vestito di bianco”, che voleva dire geloso. È un modo di dire che si diceva lì nelle campagne, ma loro avevano già immaginato il mio futuro si può dire».

Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono fare questa attività?
«È complicato. Io forse non la consiglierei, perché per fare questo mestiere ci vuole una piccola vocazione, prima di tutto al sacrificio. Noi si lavora minimo 12 ore al giorno, 7 giorni su 7. Se non lo fai con una certa passione o vocazione diventa pesante. Oggi come oggi credo che i ragazzi siano poco abituati a questo tipo di mestiere e di sacrificio, perché, come nella vita in generale, le scorciatoie non portano da nessuna parte, pensi di arrivare prima e invece arrivi dopo. Scorciatoie vuol dire fare questo lavoro come un vero artigiano, Ci vuole passione e dedizione, è un mestiere complicatissimo. Bisogna imparare la chimica e la fisica alimentare, imparare ad usare le materie prime, perché è facile usare prodotti miscelati insieme per fare un gelato e questo purtroppo succede nel 98% dei casi. Se una persona ha tutto ciò e anche pazienza, passione e dedizione, deve comunque frequentare le scuole dove si insegna a fare il gelato. Dopodiché, secondo la mia opinione, uno si deve rivolgere ad un professionista per chiedere consulenze, per poi entrare in questo mondo e poi dopo creare il suo gelato. La parola gelato è molto vaga. Non esistono gelati uguali, perché ognuno ci mette del suo e lo interpreta nella sua maniera, è un mestiere molto personale. Oltre a tutto questo è anche costosissimo! Molti lo sottovalutano pensando solo al guadagno. Chi lo fa pensando di fare un business ha già sbagliato mestiere. Non lo consiglio a nessuno, cerco di essere realista e di non creare illusioni».

Lei ha vinto molti premi, qual è quello che lo ha maggiormente emozionato?
«Allora, mi riferisco a quello istituito dalla Fondazione Cologni, che mi è stato dato dal Presidente della Repubblica come Maestro d’Arte. È stato un onore inaspettato, un gelatiere che riceve questo premio vuol dire che il gelato è stato considerato come un’opera d’arte, al pari della scultura e della pittura. In Italia solo in 75 abbiamo ricevuto questo premio e nel mondo invece solo in 400. L’ho ricevuto l’anno scorso ed è stato molto emozionante e inaspettato. Ma forse il premio più grande è sempre un altro, da sempre, quando la mattina apro bottega e vedo la gente che viene in gelateria e che ritorna, questo è il premio più grande in assoluto. Questo vuol dire che una persona viene riconosciuta per quello che fa, in mezzo a tante falsificazioni».

Quanto è importante il legame con il territorio?
«Rischio di non essere modesto, ma credo di essere stato un innovatore nel mondo del gelato con il legame del territorio, perché trovarsi in un luogo del genere che ha caratteristiche particolari, che offre dei prodotti che sono unici e riuscire ad elaborarli e inserirli nel tuo mestiere è stata per me una chiave di grande successo, perché tu ti identifichi nel territorio e il territorio si identifica con te. Quindi è un abbinamento troppo bello, uno fa pubblicità all’altro, da questa ricerca e da questa voglia sono nati i miei gusti più famosi oggi. Trovarsi in una terra del genere, come artigiano, mi è venuto automatica l’idea di pensare di farci un gelato, nessuno ci aveva mai pensato. È un legame spettacolare, perché il gusto è particolare».

Come nasce l’idea per creare nuovi gusti?
«La scintilla viene da una sensazione, da un profumo, da una cosa visiva, ma prima di tutto nasce nella mente e non si deve mai creare un gelato nuovo sotto pressione, nel senso che uno deve portare per forza una novità, non si fa così. Un gelato deve avere comunque un equilibrio, deve avere un senso diciamo. Anche ora ho una creazione in testa e la porterò in fondo perché nasce da una bella sensazione e ci riuscirò. Sarà qualcosa di particolare, ma ha una logica e una storia alle spalle». 

Progetti futuri?
«Questo è il mio progetto futuro! (indicando la gelateria). Qui dove siamo ora abbiamo la showroom, dove viene gente ad assistere perché sono curiosi di capire cos’è il gelato artigianale. Quindi questo è il mio progetto futuro, è già qua, futuro – presente! (ride)».

Ultimissima domanda ma non meno importante: qual è il suo gusto preferito?
«Eh, questo cambia tutti i giorni perché il mio umore cambia tutti i giorni, ma se devo sceglierne uno o due su tutti dico lo zabaione di vin santo e un cioccolato, sono questi quelli che mi affascinano di più. Mentre non ce ne è nemmeno uno che non mi piace, sono tutti miei “figlioli”, voglio bene a tutti!».

Mary Piccirillo

Pubblicato il 21 agosto 2017

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