Cibo ed emozioni: Il cibo è uno strumento che ci permette di esprimere la nostra identità

Mangiare costituisce una delle principali e fondamentali attività umane finalizzate alla sopravvivenza ed alla riproduzione. Ma non semplifichiamola al solo atto di nutrirsi, in quanto dietro ad un gesto di normale routine si nascondono valori ben più profondi e radicati dentro di noi

 FULVIA BRACALI
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Si tratta di un atto sociale, un fenomeno che strettamente si collega ad aspetti di vita quotidiana, ma anche religiosi, politici, estetici ed economici. Il sociologo Claude Fischler nel 1979 scriveva “L’uomo è un onnivoro che si nutre di carne, di vegetali e d’immaginario; l’alimentazione rinvia alla biologia ma, chiaramente, non si limita solo ad essa; il simbolico, l’onirico, i miti e i fantasmi nutrono anch’essi e concorrono a regolare il nostro mangiare”. Il cibo è uno strumento che ci permette di esprimere la nostra identità, di costruire relazioni sociali, di esprimere i nostri gusti e l’appartenenza sociale. Non a caso quando dobbiamo festeggiare qualche occasione importante o le feste comandate, ci ritroviamo con i nostri cari intorno ad una tavola e prepariamo dei cibi speciali per condividere quei momenti e il nostro nutrimento. Così come per alcune festività e ricorrenze è abitudine mangiarne - oppure no - degli altri. Per non dire poi che ogni famiglia ha le sue ricette: quanti piatti molto semplici sono diversi da famiglia a famiglia, per non dire già da madre a figlia? Perché ognuno ha i suoi ingredienti, i suoi tempi di cottura ecc.

Inutile dire che il cibo e l’alimentarsi abbiano significati importanti nella nostra vita. È proprio attraverso il cibo che siamo entrati per la prima volta in relazione con qualcuno, basti pensare al latte materno di cui abbiamo bisogno appena nati e che rappresenta la nostra mamma; il legame con il seno materno, o il biberon per il latte artificiale, scandisce le nostre prime esperienze di odio, amore, rabbia, frustrazione che influenzano lo sviluppo emotivo e affettivo della nostra vita. Il bambino, poi, conosce il mondo con e attraverso la bocca, perché comunica affettivamente ed emotivamente con gli altri, attraverso le sue sensazioni di fame, sazietà, di gusto e di disgusto.

Le regole sul cibo all’interno della famiglia, segnano il confine non solo su ciò che è commestibile o meno, ma anche sul quando e come. Il tentativo dei genitori di modellare le abitudini alimentari dei figli, incluse le buone maniere a tavola, potrebbe essere considerato un modo per acculturarli verso il mondo degli adulti, stabilendo le regole del comportamento civile. Il cibo così diviene un elemento intorno a cui ruotano i concetti di educazione, controllo, conformità ed obbedienza. Quindi il non mangiare, non stare a tavola ed altri comportamenti quali pasticciare con il cibo, possono voler significare sfida e ribellione. Così come durante la crescita, e poi nell’adolescenza, il mangiare cibi proibiti come i dolciumi o il famoso junk food (cibo spazzatura), rappresenta una sfida all’autorità genitoriale.

Ed è quindi abbastanza facile poter affermare che ci sia un rapporto stretto e complicato tra cibo ed emozioni. Domandiamo a noi stessi: quante volte abbiamo colmato stati d’animo quali ansia e stress mangiando? Spesso, infatti, mangiamo per non sentire le nostre emozioni, per reprimere qualche stato d’animo doloroso. Oppure non mangiamo per avere una forma di controllo su noi stessi e la nostra vita, e di conseguenza su ciò che sentiamo. In questi casi c’è da ricercare le radici di questi comportamenti proprio nell’infanzia, dove si è imparato a tenersi tutto dentro e non si è espresso ciò che si provava realmente per conformarci alle aspettative e alle richieste, o per meglio dire, al funzionamento della nostra famiglia di origine o, in seguito, della nostra società. E ancora quante volte nel darci delle regole alimentari abbiamo fatto fatica perché non avevamo la giusta motivazione o pensavamo che fosse inutile? Anzi, siamo subito passati a giudicare noi stessi… e il nostro corpo.

Eh sì, perché il cibo si intreccia con il rapporto che abbiamo con il nostro corpo: siamo magri, allora mangiamo troppo poco; siamo grassi, mangiamo in eccesso! Ma non è solo questo: perché il corpo non è un contenitore di kcal ingerite, ma è l’immagine che forniamo di noi al mondo e che sì, ahimè, può essere influenzata da ciò che mangiamo e viceversa. E nella società odierna il corpo vuol dire bellezza. E allora molti non scelgono di mangiare correttamente per il proprio benessere psico-fisico quanto per avere una buona forma fisica, o per meglio dire un bell’aspetto. Nella nostra società donne, e anche uomini, sono bombardati da messaggi culturali che propongono loro modelli e comportamenti corporei basati sull’idea di dominio, restrizione e modificazione del proprio corpo. Soprattutto le donne sono bersaglio di molte contraddizioni culturali: da superdonne da copertina a mogli amorose, da manager in carriera a madri a tempo pieno. In questo strenuo tentativo di avere tutto, è possibile che qualcuna possa avvertire di non avere più controllo della propria vita e questo diviene motivo di sofferenza interiore e talvolta porta a diete ferree del tutto inadeguate o, viceversa, ad un abbandono del proprio benessere psicofisico proprio a partire dal trascurare ed esagerare con le quantità e qualità di cibo assunto. La sempre più forte diet industry fa vivere il cibo come un nemico da dominare, così come il corpo: quello che conta sembrano essere solo le calorie da contare e consumare. Quindi il concetto di dieta è passato dal significato della cura di sé a restrizione alimentare, mortificazione dei propri bisogni fino ad una prova di volontà.

Ecco perché curare la propria alimentazione significa prendersi cura di una grande parte di noi, e non si può ridurre al solo fare una dieta, intesa come dimagrimento. Del resto il significato della parola “dieta” etimologicamente vuol dire proprio “stile di vita”. Ma se molto spesso non si raggiungono i risultati desiderati, qualunque questi siano, o laddove si sentano dei forti conflitti verso il cibo o verso il proprio corpo, forse è perché ci sono altri aspetti da indagare e da prendere con dolcezza in affidamento… ma da mani esperte. Da questo concetto nasce il progetto Nutri Amo, collaborazione nata tra la sottoscritta, Dott.ssa Fulvia Bracali Dietista Nutrizionista e la Dott.ssa Paola Braccagni Psicologa Psicoterapeuta, in cui attraverso un percorso integrato tra le due professionalità si cerca la risoluzione o un attenuamento, in un modo del tutto personalizzato e profondo, dei conflitti con il cibo, il proprio corpo e la visione di sé. Vi invito quindi a cercare la nostra pagina Facebook e contattarci per saperne di più oltre che non banalizzare l’alimentazione solo perché tutti mangiamo ogni giorno per la nostra sopravvivenza e sostentamento.

Fulvia Bracali si è laureata in Dietistica all'Università degli Studi di Siena nel 2008. Nel 2011 ha conseguito un Master di 1° livello in Disturbi del Comportamento Alimentare in età Evolutiva presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2008 ad oggi lavora con dedizione e soddisfazione nell'ambito della ristorazione scolastica e non solo, per alcuni Enti Pubblici e Privati. Dallo stesso anno ha intrapreso l'attività ambulatoriale presso vari poliambulatori. 
Ogni anno frequenta corsi di aggiornamento e di perfezionamento approvati dal Ministero della Salute (con accreditamento in Educazione Continua in medicina - ECM) per ampliare e approfondire le conoscenze nei vari ambiti della Dietetica e della Nutrizione. E' socia ANDID (Associazione Nazionale Dietisti) e ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione) dal 2009.

 

 
 
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Pubblicato il 1 novembre 2020

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