Diba 70 di San Gimignano, è una rivoluzione del caffè sostenibile e che rispetta il lavoro
L'azienda storica ribalta il modello di fornitura e consulenza a ristoranti e hotel attraverso la partecipazione al progetto Umami Area Honduras: caffè di qualità nel rispetto dell'ambiente e dei contadini in piantagione
Dal 1973 Diba 70 si occupa di caffè e distribuzione automatica rifornendo famiglie, aziende e il mondo dell'Horeca con una vasta gamma di macchine e miscele e organizzando molte attività di consulenza e formazione per la ristorazione e l'hotellerie.
Il mercato in questione ha subito nel corso degli anni evoluzioni che è necessario ripercorrere velocemente per comprenderne le peculiarità. Fin dagli anni Settanta molte torrefazioni si sono affacciate sul mercato dei pubblici esercizi con una proposta che andava ben oltre la semplice fornitura di prodotti e attrezzature in comodato d’uso gratuito al barista ma si spingeva fino alla concessione di veri e propri finanziamenti in denaro (pratiche in parte ancora attuali). Questi contratti hanno ingessato il mercato impedendo a tutti coloro che andavano a sottoscriverli di valutare e selezionare proposte di altri fornitori e hanno creato un vero e proprio cortocircuito nel settore, spingendo i locali stessi a effettuare per anni delle scelte basate non tanto sulla qualità del prodotto bensì sull’ammontare del finanziamento proposto.
Spolpamento delle ciliege del caffè
Questo modello ha generato una deprofessionalizzazione del mestiere di barista, che ha subito tali pratiche e non ha mai avuto l’opportunità, la necessità e la volontà di specializzarsi, formarsi e conoscere la materia prima, la filiera e i vari processi di lavorazione. Altro aspetto rilevante riguarda la mancanza dei requisiti di sostenibilità e responsabilità sociale per la filiera e per coloro che si trovano ai due estremi, i coltivatori da un lato e i locali dall'altra. Ne è testimonianza emblematica il prezzo eccessivamente basso della tazzina al consumatore: pur con le relative differenze regionali si va dagli 88 centesimi di Reggio Calabria ai 90 di Napoli, 93 centesimi a Roma, 1,09 euro a Torino, 1,10 a Modena e 1,11 euro a Bologna.
“I locali di domani dovranno offrire servizi più evoluti, una reale esperienza di consumo. La qualità del prodotto deve crescere con baristi e ristoratori che non dovranno essere solo formati ma diventare veri e propri sommelier del caffè” - sostiene Leonardo Maggiori della Diba 70 - “A loro spetterà la responsabilità di raccontare e spiegare l’origine del prodotto che stanno servendo, la qualità e il lavoro racchiusi nella tazzina. I consumatori dovranno uscirne arricchiti di informazioni ed emozioni. Solo così trasformeremo l’atto di bere un caffè da mera abitudine a qualcosa di davvero bello”.
“Il consumatore ha il diritto di bere una tazza di caffè che porta con sé una profonda conoscenza della filiera di produzione, che trasferisce nella bevanda un’elevata responsabilità sociale associata a una qualità priva di difetti sensoriali” dicono Sandro Bonacchi e Andrej Godina nel loro libro Zero Caffè. Per i due esperti “Oggi abbiamo la responsabilità di produrre un caffé che non sia solo buono ma buonissimo nella molteplicità delle sue possibili espressioni aromatiche e che sia giusto per l’intera filiera e soprattutto per i coltivatori, da sempre il vero anello debole della catena. Ecco perché, come tutte le storie legate alla terra e ai prodotti agricoli, anche l’avventura nel mondo del caffè non può che partire dalle origini, dalle piantagioni”.
Sempre più spesso si parla di sostenibilità delle attività economiche con una certa leggerezza e molte aziende rischiano di fare greenwashing, senza attuare un comportamento profondo, intimo, orientato concretamente al cambiamento responsabile. “Essere sostenibili per noi significa condurre un modello di business equo e solidale, rispettare l’ambiente nelle sue molteplici manifestazioni, pensare collettivamente e non individualmente”, aggiunge Maggiori.
Attualmente il prezzo del caffè non viene stabilito semplicemente dall’incontro della domanda con l’offerta bensì da complesse operazioni finanziarie sui mercati che ne determinano una quotazione giornaliera sulla quale viene stabilito il prezzo. Questo scenario è disastroso per i coltivatori dei vari Paesi d’origine che a stento possono garantirsi la mera sopravvivenza, e non sempre ci riescono.
“La bevanda caffè non potrà mai essere giusta se non partiamo dalle origini, dalla sostenibilità del lavoro svolto dai contadini”, conclude Maggiori: “La prima cosa sarà proprio quella di riconoscere un giusto compenso al lavoro, che consenta ai contadini di mantenere con dignità la famiglia e soddisfare i propri bisogni, regolarizzando i contratti di lavoro a tutti coloro che lavorano in piantagione. E' necessario dare un volto al produttore ed essere consapevoli che la bevanda consumata non ha contribuito a impoverire nessuno. Anche questo accresce il piacere e lo spirito di chi vende e consuma una tazza di caffè. Ecco perchè sono orgoglioso e onorato di far parte dell’innovativo Progetto Umami Area Honduras insieme a mio cognato Claudio Guazzini e a Sandro Bonacchi di Bfarm”.
Dal 2017 diversi professionisti hanno acquistato una piantagione di caffè di circa 45 ettari delimitata dai fiumi Rio Aruco e Rio Colorado nella regione di Copan, nell'Honduras occidentale. Il progetto è nato e cresciuto grazie alla volontà di vari soci italiani, tedeschi e honduregni, figure con esperienze professionali molto diverse unite nell’intento di dimostrare come la produzione di un caffè di qualità possa essere sostenibile anche da un punto di vista imprenditoriale, finanziario, sociale, ambientale con il coinvolgimento della comunità locale.
Francisco Villeda Panchito capataz della piantagione Finca Rio Colorado
Tra gli obiettivi del progetto ci sono la riforestazione dei pascoli adiacenti, la sperimentazione di nuove pratiche e lavorazioni agricole, la condivisione delle conoscenze con i produttori locali, la realizzazione di un centro di formazione permanente per il caffè a Las Capucas, il supporto tecnico finanziario per i piccoli proprietari del territorio, con l'obiettivo di ottenere un prodotto di altissima qualità. La guida della piantagione è affidata a Francisco Villeda detto Panchito, socio fondatore della cooperativa Cocafcal e socio di Umami Area Honduras, nonché proprietario di una piccola piantagione di circa 2 ettari. L’idea di fondo parte dal profondo rispetto per la natura e i coltivatori per ricostruire un modello produttivo nuovo che sia giusto, consapevole e realmente buono per tutti.
In copertina la Cooperativa Las Capucas
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Pubblicato il 21 aprile 2022