Poggibonsi, anno 1788, quando in chiesa si pregava affinché la Crimea passasse sotto la dominazione russa
Altri tempi, altre situazioni, altri schieramenti politici, altri atteggiamenti. Unica costante: la guerra
Le guerre, si sa, devono avere, oltre il casus belli, anche una motivazione un po’ più forte per essere credibili: oggi si parla di difesa, di esportazione della democrazia o di motivi di sicurezza nazionale, in altri tempi si parlava di difesa dei sacri confini della patria o della religione. Sono però, e sono sempre state, nella massima parte, guerre sporche, fatte da poveri cristi contro altri poveri cristi, con l’aggravante, nel tempo, dalla prima guerra mondiale in poi, dell’aumento esponenziale delle vittime civili.
C’è stato un lungo periodo storico in cui la Russia, ex Moscovia, ha fatto parte integrante del gioco politico diplomatico europeo, almeno a partire da Pietro il Grande e fino alla cesura della Rivoluzione d’Ottobre. Ma anche questa, a guardare bene, con la presenza di forti partiti comunisti nei paesi europei, non segnò una frattura netta, anche se contribuì a dar vita a quell’atteggiamento di russofobia presente tuttora in occidente. La caduta dell’URSS poteva riportare, forse, la Russia nell’orbita europea. Così non è stato. Non è questa la sede per dare giudizi o indagare i motivi che hanno impedito tutto questo. Torniamo quindi ai secoli passati.
Quando Pietro sale al trono di Russia nel 1682 sono già presenti nelle città russe insediamenti e interi quartieri di europei, specie di operai, artigiani e professionisti tedeschi. E’ lì che il giovane zar stabilisce rapporti e amicizie, sviluppa interessi per la tecnica, per la navigazione e coltiva dentro di sé il desiderio di conoscere di più del mondo europeo occidentale. Difatti, nel 1697, primo zar a lasciare i confini della Russia, insieme ad un gruppo di amici, decide di compiere un viaggio di istruzione in Olanda, Gran Bretagna, Austria, un viaggio che dura un anno e tre mesi. Viaggia in incognito, sotto il nome di Petr Michajlov, anche se è difficile non farsi riconoscere per un uomo come lui, alto 2 metri e 3 centimetri. Fatto sta che il giovane Pietro lavora, con i suoi amici, come apprendista mastro d’ascia nei cantieri navali di Zaandam e Amsterdam, presso la Compagnia delle Indie Orientali. In Olanda visita officine, ospedali, scuole, centri militari e navali. Poi si trasferisce in Gran Bretagna, dove può apprendere le più moderne tecniche di costruzioni navali e dove visita Oxford, Londra, Portsmouth ed altre città e, data la sua passione, molti cantieri navali. Al ritorno, affrettato per sedare una rivolta ordita contro di lui, inizia il processo di occidentalizzazione e modernizzazione della Russia. Il primo atto, simbolico, è quello di tagliare ufficialmente e di persona le lunghe barbe dei suoi principali boiari, e di istituire la moda degli abiti tedeschi o ungheresi al posto delle vecchie palandrane a maniche larghe usate fino allora. Quindi dà inizio ad un primo processo di industrializzazione.
L’atteggiamento di apertura alle idee occidentali prosegue, anni dopo, anche con la zarina Caterina II, che recepisce in parte anche alcune idee dell’illuminismo. Niente di particolare, visto che la servitù della gleba e la vendita dei contadini, usati come merce al pari delle altre masserizie attinenti alle grandi proprietà nobiliari, continua senza alterazioni. Ma le sue pur limitate riforme le valgono comunque l’ostilità della nobiltà più conservatrice.
E’ proprio sotto Caterina II che riprende fuoco l’ostilità tra Russia e Turchia. Sia L’Austria di Giuseppe II, sia la Russia hanno messo da tempo l’occhio sul vastissimo territorio degli Ottomani. L’Austria è interessata al territorio dei Balcani, la Russia alla zona del mar Nero, Crimea in primo luogo. Questa, eretta in Khanato dipendente dai Turchi, nel 1783 decide di passare sotto il protettorato russo. La zarina Caterina l’anno dopo compie un fastoso viaggio in Crimea a sancirne l’annessione e si comincia a costruire la fortezza di Sebastopoli. Giuseppe II e Caterina, incontratisi a S.Pietroburgo, sognano insieme addirittura la restaurazione di un Impero Bizantino, con capitale Costantinopoli, a danno dei Turchi. Questi ultimi ovviamente non gradiscono l’idea e nel 1787 due navi turche aprono il fuoco su due vascelli russi nel mar Nero. E’ l’inizio di una nuova guerra russo-turca.
La notizia si diffonde, non certo con la rapidità di oggi, ma in ogni caso arriva alle varie capitali europee, e da queste anche, con ritardo di tempo, nei centri minori. Sul tavolo del vescovo di Colle, mons. Niccolò Sciarelli, arriva nel marzo del 1788. Il vescovo manda quindi subito una pastorale a tutti i sacerdoti della sua diocesi nella quale invita gli stessi a pregare durante la messa a favore “dell’augusto imperatore de’ Romani Giuseppe II” e dell’ “Imperatrice di tutte le Russie, sua buona amica ed alleata”e affinché “il Dio degli eserciti assista col suo forte braccio le armi d’un Sovrano di Dio, tanto benemerito della Chiesa e gli conceda valore per combattere contro il più fiero nemico del nome Cristiano e della Cattolica Religione”. Invita infine i sacerdoti ad esortare i Popoli loro assegnati “perché porghino specialmente nelle feste le più umili preghiere all’Altissimo nel tempo della tremenda azione del sacrifizio per un motivo sì importante”.
Altri tempi, altre situazioni, altri schieramenti politici, altri atteggiamenti. Unica costante: la guerra.
Franco Burresi
Nell’immagine: Assedio di Očakov (1788) di January Suchodolski
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Pubblicato il 20 marzo 2022