Poggibonsi e gli ebrei, la storia di Elia

Gli ebrei avevano infatti l’abitudine di prendere il cognome della città di provenienza. Per questo motivo ancora oggi è diffuso in Italia il cognome Poggibonsi

 FRANCO BURRESI
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“In una città giunse un fanciullo assai povero e rognoso, che venne perciò soprannominato ‘il rognoso’. Essendo un po’ cresciuto, divenne, per guadagnarsi il pane, garzone d’un macellaio e accumulò un’assai piccola somma di denaro con la quale si mise a praticare l’usura. Poiché il suo denaro si era moltiplicato, comprò degli abiti un po’ più dignitosi. Poi stipulò un contratto con un tale e cominciò, grazie alle usure, a crescere in fama e in ricchezza. Cominciarono a chiamarlo Martino Il Rognoso, trasformandosi il precedente soprannome in cognome; poi, divenuto più ricco, fu il signor Martino; e quando fu diventato uno dei più ricchi della città, messer Martino. Infine, gonfiato dalle usure, divenne il primo per ricchezze, fu chiamato da tutti monsignor Martino e tutti lo riverivano come loro signore.”

Così si narra in un aneddoto del XIII secolo, che intende  dipingere un po’la figura dell’usuraio; ma l’aneddoto conclude poi: “A meno che egli non ridiscenda i gradini facendo delle restituzioni come li ha saliti praticando l’usura, improvvisamente, in un istante, sprofonderà nei peggiori orrori dell’inferno”.

L’usura è ritenuta un peccato riprovevole.

Già nel Vecchio Testamento si legge infatti: “Se tuo fratello che vive con te cade in miseria e manca nei suoi rapporti con te, lo aiuterai come un forestiero o un ospite, ed egli vivrà presso di te. Non gli presterai il denaro per trarne un profitto, né gli darai il vitto per ricavarne degli interessi”. Anche lo stesso Dante dipinge gli usurai, nel canto XVII dell’inferno, seduti su una sabbia ardente e sottoposti ad una pioggia di fuoco. Scrive il Le Goff nel suo celebre saggio sull'usura: " Cosa vende in effetti l'usuraio, se non il tempo che intercorre tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con l'interesse? Ma il tempo non appartiene che a Dio. Ladro di tempo, l'usuraio è un ladro del patrimonio di Dio..."

Con il trascorrere del tempo e soprattutto con  l’affermarsi della società mercantile-capitalistica, tuttavia, si cominciano ad introdurre, se non delle giustificazioni, delle attenuanti al peccato di usura. Si inizia a distinguere tra semplici prestatori di denaro, banchieri insomma, e “usurai manifesti”, che impongono interessi esagerati.  Anche perché la distinzione tra mercante, banchiere e usuraio si fa sempre più sottile. L’usuraio può redimersi in punto di morte, restituendo il mal guadagnato, o facendo delle donazioni. Si crea, quasi ad hoc, il purgatorio, dove se le colpe rimaste sono  veniali possono essere espiate prima di accedere al paradiso.

L’attività di prestito ad interesse, a volte di usura, è esercitata spesso dagli  ebrei, cui sono precluse tutta una serie di altre attività. E’ così che anche a Poggibonsi è attestata, almeno a partire dal XV secolo, un’attività di prestito da parte di ebrei.

Nel 1444 l’ebreo Manuele di Bonaventura da Volterra ottiene di tenere un banco per cinque anni a Poggibonsi, fino al 1449, che fa da riferimento anche ad altri comuni valdelsani.

L’attività  feneratizia, o di usura, è ripresa poi nel 1466 a Poggibonsi da un certo Elia di Salomone di Aliuccio, che ha tenuto fino ad allora un banco a S. Gimignano, ma a cui quest’ultimo comune non rinnova la concessione. Elia viene così a mettere il banco a Poggibonsi, ottenendo una concessione fino al 1479.

Prende anche residenza nel nostro comune, dato che in un documento del 1470 viene definito “habitator in castro Podii Bonizi” Con lui abita in Poggibonsi anche il fratello Daniele e come collaboratori Elia ha in Poggibonsi altri ebrei: il cognato Manuele di Bonaiuto da Camerino, Salomone di Manuele e Gaio di Manuele da Todi. Quindi Elia si trasferisce a Firenze, dove può fare affari più vantaggiosi, lasciando il banco di Poggibonsi in gestione a Gaio di Manuele, pur restandone titolare.

Il banco ottiene una nuova autorizzazione da parte delle autorità fiorentine nel 1491, autorizzazione che viene discussa nel consiglio comunale di Poggibonsi l’anno dopo, nel 1492. Il comune dà incarico a quattro deputati di trattare con Elia per aggiungere alcune regole, oltre a quelle stabilite dalle autorità di Firenze. 

Il Comune di Poggibonsi chiede ad Elia, per poter esercitare la sua attività, una tassa di 40 libbre annue di moneta fiorentina e la garanzia per il Comune di poter ottenere prestiti “senza pegno et senza merito della durata di almeno due mesi, fino a 10 fiorini d’oro. Il figlio di Elia, Salomone, con cui gli oratori trattano, si impegna solo a rispettare il primo punto, mentre sul secondo non se la sente di firmare senza un’autorizzazione paterna.  Arriva quindi una lettera del padre Elia, con la quale questi dichiara di non voler formalizzare l’impegno a finanziare il Comune, cosa che avveniva di solito per consuetudine.

Firenze aveva autorizzato Elia ad esercitare non solo a Poggibonsi, ma anche a Colle e San Gimignano, con la possibilità di “emere et vendere quascunque et de quibuscunque rebus mobilibus et pannis lineis et laneis”, ad acquistare immobili fino ad un valore di mille fiorini e ad ottenere dai macellai locali, senza maggiorazioni di prezzo, carne macellata “secundum morem hebreorum”. Gli abitanti dei tre paesi valdelsani erano inoltre obbligati, in caso di loro bisogno, a rivolgersi solo ai banchi gestiti da Elia di Salomone e soci o ai banchi gestiti da cittadini fiorentini.

L’attività del banco di Elia finisce presto però. Nel 1495 il Savonarola, a capo della repubblica fiorentina, combatte la sua crociata contro i vizi del tempo, vietando, tra le altre cose,  l’usura e istituendo  al suo posto un Monte di Pietà. Elia deve trasferirsi a Bologna, dove  ormai, secondo il costume ebraico,  viene identificato come Elia da Poggibonsi.

Gli ebrei avevano infatti l’abitudine di prendere il cognome della città di provenienza. Per questo motivo ancora oggi è diffuso in Italia il cognome Poggibonsi. La stessa madre della scrittrice Elsa Morante, una maestra modenese, si chiamava, appunto, Irma Poggibonsi.

E sulla stampa del secolo scorso fece scalpore il caso di una famiglia torinese, che faceva cognome Poggibonsi, che si trovava in grosse difficoltà economiche.

V. anche Burresi-Minghi: “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700”.

Franco Burresi

Immagini: “Gli usurai”, di Q. Metsys.

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Pubblicato il 10 marzo 2021

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