Poggibonsi e i suoi vetturini: tra attaccabrighe, patrioti, banditi, pirati della strada e il ''vetturino letterato''

Poggibonsi, al crocevia di molte strade importanti, fin dai tempi antichi ha avuto sempre un certo numero di vetturini

 FRANCO BURRESI
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Poggibonsi, al crocevia di molte strade importanti, fin dai tempi antichi ha avuto sempre un certo numero di vetturini.

Già nel 1371 lo storico De La Ronciere ne conta tre, fra i vari mestieri di allora.

Di vetturini parla espressamente il granduca Pietro Leopoldo, che nel 1767, durante uno dei suoi frequenti viaggi per la Toscana, transita per Poggibonsi ed annota che la nostra Terra “…è composta di benestanti e di molta gente che fa il vetturale, ed è paese dove sono frequenti le risse e le disunioni”. Molti vetturini infatti sono dediti al vino e pronti a venire a diverbio con facilità. Anche in occasione di un secondo passaggio nel 1787 il giudizio del granduca sul carattere rissoso dei poggibonsesi non cambia, in quanto scrive che “il popolo basso vi è più risentito, dedito al gioco, al vino e alle risse”.

Per la verità i vetturini costituiscono una categoria abbastanza agiata, almeno se paragonata a quella dei barrocciai.  Federigo Tozzi nel suo romanzo “Con gli occhi chiusi” ci fa un breve ritratto della povertà dei barrocciai, quando scrive: …Pino, il vecchio barrocciaio di Poggibonsi, era il più povero. Gridava, per ridere: - C'è posto anche per me? - Tutti glielo facevano, non per cortesia, ma perché lo credevano pieno di pulci. Egli se ne avvedeva, ma non osava dir niente: brontolava un poco tra sé; e, siccome dovunque era trattato così, non se la prendeva.- Mezzo posto mi basta a me. Non sono un signore io! Ah, come mi dolgono le ossa! - Un occhio non gli voleva stare aperto, e le palpebre battevano insieme come fanno quelle delle civette. Girava quell'altro occhio per tutta la stanza, lentamente; ricominciando sempre da capo. Si guardava bene le mani, per far capire agli altri che aveva pensato a lavarsele; e infatti se l'era lavate nel secchio del suo cavallo mezzo stronco come le stanghine del barroccio, rinforzate con parecchie avvolte di funicella e di filo di ferro…

Nel 1816 di vetturini se ne contano addirittura 16 a Poggibonsi. Il loro lavoro consiste nel trasportare viandanti, mercanti o turisti da un paese all’altro del circondario, ma spesso svolgono incarichi anche per il Comune, quando si tratta di trasportare ammalati all’ospedale S.Lorenzo di Colle, malati di mente al S.Niccolò di Siena o i molti neonati abbandonati, i cosiddetti “esposti”, allo Spedale dei Gettatelli di S.Gimignano.

Nel 1849 un vetturino è arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale e condannato a 12 mesi di carcere in seguito a un alterco avuto in un locale, nonostante a sua difesa sia intervenuto il parroco di S. Lorenzo Orzali a testimoniare il buon carattere dell’accusato. Ma sempre nel 1849 è il vetturino Nicola Montereggi, un patriota,  che scorta Garibaldi in salvo, transitando nei Fossi fra le truppe austriache, ignare di chi sia quel viaggiatore in carrozza travestito da mercante. Nello stesso anno il carattere deciso dei vetturini si nota in occasione dell’inaugurazione della ferrovia Empoli-Siena, quando plotoni di soldati vengono mandati a presidiare la linea ferroviaria, in quanto si teme qualche tafferuglio o protesta da parte, appunto, dei vetturini, i quali vedono nel treno un concorrente pericoloso per il proprio lavoro. Ancora nel 1871 il Prefetto di Siena lamenta in una circolare  il “pessimo contegno tenuto dai vetturini [di Poggibonsi] nel Piazzale della Stazione Ferroviaria”. I passeggeri che scendono dal treno vengono spesso importunati dai vetturini, che  rivolgono offese a coloro che non intendono servirsi della loro carrozza. A volte avvengono anche litigi tra i vetturini stessi, per accaparrarsi i vari clienti.

Il mestiere del vetturino comporta anche dei rischi, specie di notte. Nel 1870 il vetturino Nazareno Capperucci, ad esempio, è assalito da banditi nella strada sottobosco tra Cusona e Poggibonsi e derubato di tutto quello che ha.

Con l’avvento della ferrovia i vetturini non scompaiono; sono ancora ricercati infatti per coprire quei tratti non serviti dalla ferrovia, come il percorso Poggibonsi/S.Gimignano. Le cose peggiorano nei primi decenni del ‘900, quando viene istituito il servizio autobus, ma i vetturini non demordono e il piazzale della stazione vede ancora da una parte l’autobus, dall’altra i vetturini in attesa.

La coesistenza tra vetturini e mezzi a motore è comunque complicata. Nel 1909 si assiste al primo episodio di pirateria stradale a danno del vetturino Ulisse Pogni. Questi sta riportando da S. Gimignano un turista francese che deve poi prendere il treno per Firenze, quando a pochi chilometri da Poggibonsi la sua vettura viene investita da un’auto che viene in senso opposto a tutta velocità. La vettura finisce in un fosso, il Pogni è sbattuto contro un pioppo, ma se la cava con poche contusioni. Peggiore sorte tocca al turista francese, che resta sotto la vettura, ed anche al cavallo, che subisce gravi lesioni. Accorrono i contadini del luogo a soccorrere i feriti ed alzare la vettura, insieme al vetturino Betti che  sta seguendo il Pogni con altri turisti a bordo. L’auto non si ferma e prosegue la sua corsa sfrenata, ”con tale velocità che non fu possibile vederne il numero [la targa]”, scrive l’articolista della Nazione , che conclude: “l’autorità sta indagando per scoprire gli autori dell’investimento. E speriamo che vi riesca, perché certi fatti accadono spesso e coloro che spingono le automobili a corsa vertiginosa meritano una lezione”.

Il Pogni è un vetturino “sui generis”, affatto rissoso, amante invece della lettura e autodidatta, calmo e tranquillo, tanto da  guadagnarsi la simpatia dei turisti che scendono dal treno a Poggibonsi. Uno di questi, un francese, ne tesse le lodi su un giornale d’oltralpe, “L’Homme libre”, dedicandogli un articolo intitolato “Il vetturino letterato”. Questo il testo dell’articolo: “Di fronte alla piccola stazione di Poggibonsi  quattro o cinque vecchie vetture, attaccate a  dei buoni cavalli, stavano ad aspettare i clienti. Appena lasciati i bagagli al deposito, si sente un grande concerto di voci alterate, di sonagli e colpi di frusta. Passato il primo monento di terrore, abbiamo una pacifica offerta di servizio. Tra tutti quegli emergumeni solo uno sembra  raccomandabile e si nota dalla sua flemma e dal suo silenzio. Riconosce la clientela a prima vista, si limita ad alzare un  cartello in alto con scritto a grandi caratteri : “ IO  PARLO FRANCESE”.  Non dice niente, contando sul sicuro effetto.  Riservato e sobrio nei discorsi, in poche parole organizza la giornata. Parla effettivamente francese e anche con poca enfasi.  Ѐ intelligente, vivace e sorridente, come quelli del suo paese. La conversazione inizia lungo la strada: - Com’ è che parla il francese? 

- Mio Dio, è molto semplice:  leggendo tutto quello che potevo legere, parlando con i clienti  che mi hanno mandato dei libri e dei giornali.

Lui ha amici a Parigi: un magistrato, Monsieur Forichon , dei pittori, un accademico, Monsieur Paul Bourget.

  Ma di quest’ultimo ne parla  solo con malinconia;  spesso lo portava a giro quando lo scrittore stava preparando un libro sull’Italia.  Il libro, che era stato promesso,  non è mai arrivato. Se queste righe cadono sotto gli occhi di Monsieur Bourget, cosa molto probabile,  egli potrebbe riparare a questa dimenticanza  verso il buon Ulisse Pogni,  vetturino a Poggibonsi  e grande amico della lingua francese.”



Franco Burresi

(V. anche Burresi- Minghi: “Poggibonsi al tempo di P.Leopoldo, Napoleone e Garibaldi”, e  “Poggibonsi dal primo ‘900 al fascismo”)

Nelle immagini: il vetturino Nicola Montereggi  attraversa la zona dei Fossi tra le truppe austriache con Garibaldi in vettura (disegno del pittore poggibonsese Carlo Iozzi);  la prima pagina del giornale “L’Homme libre” del 14 maggio 1914 con l’articolo dedicato al vetturino poggibonsese Ulisse Pogni. Olio dedicato al vetturino poggibonsese Ulisse Pogni.

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Pubblicato il 2 giugno 2021

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