Poggibonsi e il rogo di eretici

Dal 1252 si raccomandò anche l’uso della tortura, purché "senza perdita di membra o pericolo di morte"

 FRANCO BURRESI
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Monforte d’Alba, anno 1028: il potente arcivescovo di Milano fa cingere d’assedio il castello, dove si è insediato un gruppo di eretici, catari o quanto meno precursori dei futuri catari. Questi, catturati, vengono portati a Milano e posti davanti a una scelta: da una parte una croce, dall’altra il rogo.

La maggior parte di loro sceglie il martirio.

L’eresia catara si diffuse, nel basso medioevo, e soprattutto nei secoli XII e XIII, in varie zone d’Europa, ma soprattutto nella Francia meridionale e nell’Italia settentrionale. A differenza dei vari movimenti pauperistici di ritorno evangelico, sorti per riaffermare il principio della povertà e contrastare il lusso dominante nella Chiesa, quello dei catari fu un vero e proprio movimento eretico. Essi, alla contestazione delle ricchezze, aggiungevano il non riconoscimento dell’autorità della Chiesa e il rifiuto dei sacramenti. Il loro nome si vuol far derivare dal latino medievale “catharus”, cioè puro, ma più probabilmente deriva dal termine “cattus”, gatto, in quanto, secondo una maldicenza messa in giro per screditarli, avrebbero adorato i gatti, animali cui nel medioevo si attribuivano qualità diaboliche. Poiché loro rifiutavano di essere chiamati “catari”, amandosi definire invece “buoni cristiani”, la seconda ipotesi è forse la più plausibile. I catari coltivavano la perfezione dello spirito, il che comportava tutta una serie di rinunce terrene; l’unico loro sacramento, oltre una specie di confessione collettiva periodica, era una sorta di battesimo, applicato tramite imposizione delle mani, che chiamavano “consolamentum”. In pratica con tale atto si trasmetteva lo “spirito santo” e chiunque lo riceveva poteva ritrasmetterlo poi agli altri; chiunque, anche le donne, un fatto veramente rivoluzionario, dati i tempi; tanto rivoluzionario che la Chiesa non poteva proprio digerirlo, insieme a tutta una serie di altre loro teorie. Si scatenò così nei confronti dei catari una vera e propria crociata, che investì la regione francese della città di Alby, maggior centro di diffusione del catarismo. La crociata contro gli Albigesi fu un vero e proprio sterminio, durato venti anni, dal 1209 al 1229, che oltre che provocare la morte di migliaia di persone, dette un durissimo colpo anche all’economia della zona. Si volle distruggere tutto del catarismo, perfino ogni testimonianza scritta. Ma nonostante ciò, anche dopo la crociata, si calcola che fossero presenti ancora in Europa circa 4.000 catari, di cui ben 2.500 in Italia.

Lo storico Gioacchino Volpe scrive che l’eresia catara era presente in Toscana già dal 1173, diffusa nei grandi centri come Firenze, Pisa, Arezzo, Grosseto, ma anche nella nostra Valdelsa, a Colle, a S. Gimignano, a Poggiobonizio. Qui, nella nostra città, esisteva addirittura una scuola per catari, come a Pian di Cascia e a Pontassieve, come conferma anche l’erudito Giovanni Lami.

La Chiesa, vista la riuscita parziale della crociata, dette incarico allora, a partire dal 1231, al tribunale dell’Inquisizione di procedere contro gli eretici e soprattutto contro il catarismo. L’incarico di inquisire fu affidato all’inizio ai domenicani. Dal 1252 si raccomandò anche l’uso della tortura, purché “senza perdita di membra o pericolo di morte”.

Dal 1254 l’incarico passò poi ai francescani, considerati meno duri nell’eseguire tali pratiche inquisitorie. In effetti un po’ lo furono, ma si dimostrarono ugualmente determinati e soprattutto avidi, specie se l’eretico in questione era di famiglia altolocata e possedeva un buon patrimonio. Quando, attraverso la tortura, un eretico si confessava tale e finiva sul rogo, i suoi beni venivano infatti requisiti; metà andavano agli inquisitori, l’altra metà alla Chiesa di Roma; qualche volta, una parte, anche a qualche vescovo locale. Per l’appunto, l’eresia catara pare si fosse diffusa, oltre che nel popolo, anche nelle ricche famiglie borghesi del tempo e tra le persone colte.

A Firenze erano sicuramente catari i Cavalcanti e Farinata degli Uberti, citati da Dante nell’Inferno, che lui, come osserva la storica Maria Soresina, definisce con il termine vago di “eretici” o “epicurei”, forse per evitare anche una censura ecclesiastica, visto che di catarismo era proibito perfino parlare. Farinata è un caso emblematico: muore nel 1264, ma 19 anni dopo l’Inquisizione ordisce contro di lui un processo per eresia, dopodiché, dopo averlo dichiarato eretico, fa bruciare sul rogo la sua bara. Tutto questo per poter requisire i suoi beni passati nel frattempo agli eredi, che vengono messi così praticamente sul lastrico.

I catari in Toscana dettero vita ad una vera e propria chiesa parallela ed organizzata. A Firenze nel 1229 fu arrestato il vescovo cataro Pietro Lombardo ed anche nella Valdelsa gli inquisitori ebbero il loro da fare.

Anche a Poggibonsi si ha notizia di un rogo di un eretico, effettuato nel 1233 a seguito di un’indagine inquisitoria. Una certa Lamandina, moglie di Rinaldo, come ci riferiscono il Lami e lo storico Felice Tocco, che si è occupato in particolare dei movimenti ereticali, depose presso il tribunale dell’Inquisizione di S.Maria Novella, davanti a tal frate Niccolò, superiore dell’ordine dei Predicatori, e ai frati Aldebrandino e Romeo, dello stesso ordine, raccontando di due eretici di Acquapendente, certi Jacopo e Gerardo, che erano soliti frequentare la casa di un suo parente. Di questi due, il secondo, Gerardo, fu poi arso sul rogo a Poggiobonizio. La stessa Lamandina si preoccupò durante la deposizione di scagionare suo marito dall’eventuale accusa di frequentazione degli stessi eretici. Il documento che attesta la testimonianza è del 1245 e vi si dice che il rogo è stato fatto 12 anni prima, quindi presumibilmente il fatto avvenne nell’anno 1233.

Nel 1273 si ha infine notizia di un frate di Poggibonsi, tale fra’ Matteo, francescano, che, chiamato a fare l’inquisitore in quel di Arezzo, riesce a far confessare e pentire un eretico aretino in punto di morte, tal Rodolfino di Bartolo.

V. anche Franco Burresi. V. anche Burresi-Minghi: “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700”.

Franco Burresi

Immagini: catari al rogo in una antica miniatura medievale; l’incontro di Dante con Farinata degli Uberti, di Gustave Dorè.

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Pubblicato il 1 marzo 2021

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