Poggibonsi e la Ferrovia Centrale Toscana

Plotoni di soldati furono fatti affluire lungo le rotaie e alle stazioni intermedie, onde evitare possibili contestazioni o sabotaggi da parte dei vetturini, che vedono minato il loro lavoro dal nuovo diabolico mezzo di trasporto

 FRANCO BURRESI
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Piove a dirotto la mattina del 14 ottobre 1849 alla stazione provvisoria senese di Mazzafonda, subito a nord della costruenda galleria di Mantarioso, ma intorno alla locomotiva, pronta ad affrontare il primo percorso ufficiale da Siena ad Empoli e ritorno (uno di prova è già stato effettuato il 28 agosto), c’è una notevole folla di persone in attesa.

Il Granduca ha voluto essere presente di persona, con la sua famiglia, ad inaugurare la nuova ferrovia, che si aggiunge alla già realizzata Leopolda, la quale collega già da un anno Firenze a Pisa e Livorno.

Molti i senesi, ma sono accorsi a celebrare l’evento anche 400 “forestieri”. Da un lato della rotaia un drappello di soldati austriaci, dall’altra parte un manipolo della non ancora disciolta Guardia civica senese.

L’arcivescovo dà la sua benedizione, che si mischia alla pioggia battente. Presenti anche gli alfieri di molte contrade, venuti con le loro bandiere a dare un tocco di colore al grigiore della mattina. Sono ormai circa le 12.30 quando il treno si decide a partire, con la famiglia granducale in prima classe, la più comoda e confortevole. La seconda, e soprattutto la terza, ancora scoperta, lasciano molto a desiderare, tanto che l’ing. Giuseppe Pianigiani, in seguito, nella sua prima relazione di dicembre, annoterà che le officine devono provvedere subito a coprire anche le vetture di terza classe, per riparare i viaggiatori dalle scintille che si lanciano dal fumaiolo della locomotiva”.

Partito il treno, i senesi che non sono saliti sul treno tornano a piedi in città, ma molti spendono fino a 1 lira per prendere l’omnibus ed evitare il fango della strada. Gli alfieri delle contrade imprecano per i vestiti e le bandiere malridotte dal tempo; i soldati tornano in caserma “zuppi e infangati come maiali”; alcune donne, anch’esse infangate, si dice che sembrano “zinghere.

Chi non si preoccupa affatto del tempo e della pioggia è l’ing. Pianigiani, ideatore e creatore dell’opera, che sta in cabina di regia, accanto al macchinista, per tutto il viaggio, ad indicargli quali sono i tratti in cui si può accelerare e in quali altri è bene essere prudenti. Conosce il percorso palmo a palmo, lo ha progettato e curato nei minimi particolari, superando difficoltà che sembravano insormontabili, come la netta pendenza del percorso tra Poggibonsi e Siena e poi ancora i molti ponti da costruire, le gallerie, e perfino una frana gigantesca all’altezza della collina di Megognano, che ha richiesto un grande lavoro di consolidamento del terreno. La galleria del Ponte Nuovo, presso Poggibonsi, lunga 64 metri, è stata costruita senza problemi. Quella di Montarioso è tuttora in costruzione, con i suoi 1516 metri di lunghezza e le frequenti infiltrazioni di acqua, ed è considerata un’opera, a quei tempi, al limite delle possibilità. La galleria sarà aperta l’anno dopo, nel 1850, e per un certo tempo resterà la più lunga galleria ferroviaria italiana.

Il percorso viene portato a termine con successo, grazie anche ai plotoni di soldati fatti affluire lungo le rotaie e alle stazioni intermedie, onde evitare possibili contestazioni o sabotaggi da parte dei vetturini, che vedono minato il loro lavoro dal nuovo diabolico mezzo di trasporto. Al ritorno, il Granduca si trattiene a Siena, dove, il 21 successivo, si corre un palio straordinario in suo onore, palio che viene vinto dall’Oca con il fantino Gobbo Saragiolo. Fanno festa, ovviamente, gli ocaioli, ma anche tutti i patrioti senesi, che nei colori bianco rosso e verde di quella contrada vedono i segni dell’Italia da farsi. Il Granduca non gradisce  tali manifestazioni per il tricolore, tanto che ordina alla contrada dell’Oca di mutare il rosso in rosa, cosa che avviene infatti e che resterà in vigore fino al 1859.

Il percorso da Siena a Poggibonsi si fa in 45 minuti, con una spesa di 32 crazie per la prima classe, di 21 per la seconda, di 18 per la terza. Con un’ulteriore ora e 5 minuti si arriva ad Empoli, dove si può trovare la coincidenza con la Leopolda. Il percorso da Siena a Firenze richiede circa 2 ore e mezza. Tanto, ma sempre molto meno del tempo impiegato dalle diligenze, che è di 5/6 ore.

La stazione di Poggibonsi, posta a metà percorso, è stazione di sosta. Qui il treno si ferma per 10 minuti circa a fare rifornimento di acqua e combustibile, per cui i viaggiatori possono scendere, sgranchirsi le gambe e prendere ristoro presso il caffè posto vicino alle sale d’aspetto, lungo il marciapiede adiacente al binario.

La costruzione della stazione, effettuata già nel 1846, ha migliorato anche la situazione igienica della città, eliminando, con la copertura di alcuni fossi di acqua putrida e stagnante, il proliferare delle numerose zanzare. Sempre a spese della ferrovia è stato poi rifatto in travertino il ponte sullo Staggia vicino alla Porta Fiorentina. I lavori alla stazione e sui binari hanno risolto in parte e temporaneamente anche il problema della disoccupazione. Nel 1845 sono al lavoro sulla ferrovia nei pressi di Poggibonsi circa 1700 operai.

Per la linea Siena-Empoli sono state acquistate da Robert Stephenson, figlio del più celebre George,  5 locomotive, cui è stato dato il nome di Siena, Centrale, Peruzzi, Cecco di Giorgio e Biringucci, in omaggio alla città del palio, alla nuova ferrovia e ad alcuni illustri cittadini senesi. Una sesta locomotiva, costruita dal sig. Adams, è stata chiamata Speranza, in quanto tale costruttore spera in un successo su larga scala della sua macchina a vapore.

Dal 3 dicembre 1849 il tratto ferroviario tra Siena e Poggibonsi viene dotato anche di un efficiente servizio telegrafico composto di due linee, una per i dispacci del governo e della Compagnia della strada ferrata, l’altra per la sicurezza dei convogli.

Lungo il percorso ci sono 5 casotti con rispettivi casellanti: presso la galleria di Montarioso, sul viadotto dello Staggia, al taglio di Mont’Alto, alle balze di Lecchi presso Staggia, alla piccola galleria del Ponte Nuovo. In ogni casotto si trova un commutatore, custodito sottochiave dal casellante. I cinque commutatori sono tutti collegati in serie con il filo telegrafico. Questi si azionano come segnale ordinario ad ogni passaggio del treno, ma anche come segnale straordinario in caso di guasti delle locomotive o interruzione sui binari. In caso di incidente ferroviario il capotreno o il macchinista, tagliato il filo telegrafico, ne manipola le estremità per segnalare il problema e chiedere soccorsi.

Non mancano infatti alcuni incidenti, o atti, sembra, di sabotaggio, come quello che fa sbattere la locomotiva sui respingenti della stazione di Poggibonsi nell’aprile 1851, per fortuna senza conseguenze particolari per i viaggiatori e con solo qualche lieve danno al treno.

Ma la ferrovia fa parte ormai della vita quotidiana ed economica della Valdelsa ed anche i più scettici o superstiziosi devono ormai ammettere che non è colpa del treno se scoppia un’epidemia di colera, o se non piove o se le viti sono colpite dalla malattia.

(V. Burresi-Minghi: "Poggibonsi al tempo di Pietro Leopoldo, Napoleone e Garibaldi")

Franco Burresi

Immagini: una locomotiva di R.Stephenson del 1849 (fonte internet); notizia in prima pagina apparsa sul Giornale di Roma del 18 ottobre 1849 sulla inaugurazione della Siena-Empoli, che riporta il resoconto del Monitore Toscano.

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Pubblicato il 11 aprile 2021

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