Poggibonsi e la novella del tedesco ubriaco

Frugando tra gli scaffali del supermercato in cerca di un vino da tavola mi è caduto l’occhio sul famoso ''Est Est Est'' di Montefiascone, legato ad una leggenda

 FRANCO BURRESI
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Frugando tra gli scaffali del supermercato in cerca di un vino da tavola mi è caduto l’occhio sul famoso “Est Est Est” di Montefiascone, legato ad una leggenda, secondo la quale il vescovo tedesco Johannes Defuk nel 1113, durante la sua discesa in Italia per officiare ad un conclave, mandò in avanscoperta il suo servo, Martino, per scoprire nei paesi italiani cantine e taverne che offrissero vinello di buona qualità. Il messo doveva adempiere alla sua missione attraverso uno o una serie di sigilli da esporre nelle porte delle locande che ne insignivano la bontà etilica.

Il segno in questione era la parola latina “Est”, che poteva essere ripetuta se le caratteristiche del vino erano soddisfacenti. Durante il suo tragitto apparvero una o al massimo due ripetizioni della parola codificata. Arrivato a Montis Flasconis e assaggiata la produzione vinicola locale, Martino restò così estasiato da scrivere sulla porta della città: Est!! Est!! Est!! per tre volte. Il vescovo, giunto nel borgo ed appresa la valutazione positiva del suo servo, ne volle comprovare le virtù così tanto adulate. Degustato il prodotto, ne bevve a tal punto che ne morì dopo poco tempo. Fu sepolto in una chiesa del borgo viterbese con una lapide commemorativa che recitava: “Per il troppo Est qui giace morto il mio signore Johannes Defuk”.

Esiste però una versione tutta poggibonsese di questa storia, che viene raccontata dal novelliere Andea Branchieri e che fu pubblicata nel 1641 in aggiunta al “Bertoldo e Bertoldino” di Giulio Cesare Croce. La novella recita così:

“Tra li confini dell'antichissima città di Bransvich in Germania partissi un cittadino assai ricco, e curioso scorrere l'Italia, e in quella vedere la regia città di Milano, gli Stati Ducali di Parma e Modona, la celebratissima madre degli studi Bologna, il capo mirabile del mondo Roma, ed insie­memente il delizioso Napoli. Questo tal tedesco dunque condusse seco un di lui servitore; e perché aveva dire inteso che l'Italia abbondava di vini esquisitissimi, determinò in se stesso non solo vedere le città e cose notabili d'Italia, ma parimente cavarsi la volontà di bere. Preso pertanto un buon marsupio di fiorini e lettere di credenza a cambio, s'incaminò col detto suo servitore a cavallo, e giunti in Italia vennero alla sfilata fin alla città di Bologna, dove sta la chiave della cantina, ed ivi cominciossi universal­mente a bever bene. Qui ordinò il buon tedesco al servitore che a guisa di foriere gli avvantaggiasse una giornata avanti  per la strada maestra di Toscana a Roma, e in tutte le terre, ville, borghi, e città, ivi si fermasse gustando se v'era buon vino, e trovandolo tale (non avend'egli lingua italiana) ponesse su la porta dell'osteria un pitaffio  con una parola a lettere maiuscole che dicesse EST, che signi­ficava: « qui è il buon vino ». Il servitore volontieri ob­bedì, essend' anch'egli ghiotto al vino, come la gatta al lardo, ed alle spese e borsa del padrone, a tutte l'osterie fermavasi gustando i vini. E mentre il padrone vedeva un'insegna d'osteria, mirava la porta; se ivi era il pitaffio EST, scendeva da cavallo ivi fermandosi un giorno, e per trincare di così delicata bevanda, ed anco mirare le cose notabili di tal luogo; ma se nella porta dell'osteria non era affiso il pitaffio EST, spronando il cavallo avanti diceva: « Nit fouszon » (niente da fare). Giunse pertanto il servitore a un ca­stello fertilissimo situato fra le due città principalissime del Granducato di Toscana, Firenze e Siena, chiamato Pog­gibonsi, che fu patria del famosissimo Cecco Bimbi, e ivi fermato il servitore all'osteria di Nanni all'insegna delle chiavi, vi trovò fiaschi di vino di tre sorte, moscatello, vernazza e trebbiano; a questo buon ritrovo fece il servi­tore nuovo pitaffio triplicato: EST, EST, EST.

Giunto pertanto il padrone, e gustati così eccellenti li­quori di Bacco, determinò ivi trattenersi tre giornate; né saziandosi di bere e ribere, tanto vi soverchiò dentro, che non trovando esalazione la fumosità del vino, sì fortemente s'ubriacò che sfoderando un pugnale a guisa di forsennato si pose a correre per Poggibonsi, gridando:«Turcas, Tur­cas, ubi sunt Turcas? Occidimus Turcas». Di questa for­sennaggine temendo, i castellani si sollevorno; intanto Nanni oste, temendo di qualche borrasca, chiamò il servitore tedesco, il quale trovandosi anch'egli alquanto incerato, erasi stravaccato sopra un letto ronfante come una sega da tavo­loni; né cessando l'oste di chiamare, corsero a lui Betto, Picco, e Vinci, suoi garzoni, e colà correndo con funi lo fermarono, legorno, e condussero a casa, chiudendolo così legato in una stanza a chiavistello, che uscire non ne po­teva, fin tanto svaporasse il vino e tornasse in sentimenti. E perché la notte avanti gli era quasi intervenuto l'istesso all'osteria delle Tavernelle, e vi fu aiutato dall'ostessa con due dramme di teriaca, sentendosi di nuovo aggravato da un soffocamento catarrale, cominciò a gridare nella stanza: «Tre och, tre och,» invece di pronunziare « teriaca, teria­ca, » e pure alzando la voce:

«Tre och, tre och.» L'oste, ch'era fiorentino, udendolo gridare «Tre och, tre och,» di fuori rispondeva: «Eh, poponaccio pinchellone, o grida pure tre oche o quattro paperi a tua posta;  bisogna, biso­gna che tu smaltischi il vino!» e pure il Tedesco schiamaz­zava: «Tre och, tre och,» e l'oste: «Non se ne farà altro, colpo di mene;  bisogna, ti dico, aspettare che il vino baIzi  fuore della collottola del capo.» Infine l'infelice Te­desco, non venendo creduto il suo male, né inteso il re­medio, sopragiunto da violenza di catarro s'affogò.

Il servitore tutto addolorato tornando a Bransvich con tal trista novella, a tutti gli amici e parenti che del padrone le addimandavano, così le rispondeva piangendo:

 Meus patronus plus non est,

quia propter Est Est Est

trincher vaine mortuus est".

Franco Burresi

V. anche Burresi-Minghi “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700”.

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Pubblicato il 3 aprile 2022

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