Poggibonsi e le sue donne: l'eroina Usiglia, tra leggenda e storia
Usiglia rappresenta, come donna, un'eccezione, in un mondo in cui la guerra, il potere, l'autorità erano di solito prerogativa maschile. La donna usava di solito altre armi rispetto alla spada o al pugnale
Molti poggibonsesi conoscono, credo, la leggenda di Usiglia. Forse è meno nota però a qualche poggibonsese di recente acquisizione. Usiglia si colloca a metà strada, tra leggenda e storia.
La città di Poggiobonizio ebbe un’importanza rilevante, come tutti sanno, sia sul piano economico che su quello strategico militare. Ebbe una vita intensa, ma breve però, e travagliata, di poco più di un secolo, che andò dall’anno 1156 in cui cominciò a delinearsi l’assetto urbanistico della città, al 1270, anno della sua distruzione. La sua esistenza coincise infatti con la grande contesa che interessò l’Italia tra lo schieramento guelfo e quello ghibellino, perpetuazione, in tempi mutati, di un’antica rivalità tra il potere papale e quello imperiale. Negli ultimi anni della vita di Poggiobonizio si svolsero le più grandi battaglie che videro contrapposti i due schieramenti, dalla celebre vittoria ghibellina a Montaperti (1260), alla battaglia di Benevento (1266) che vide la morte di Manfredi e la vittoria dei guelfi di Carlo d’Angiò, a quella di Colle val d’Elsa (1269), con la nuova affermazione dalle nostre parti del partito guelfo. Poggiobonizio, nello svolgersi di tutte queste vicende, anche se talora dovette momentaneamente prestare obbedienza ai fiorentini, si schierò dalla parte ghibellina, tanto che, quando Corradino di Svevia tentò l’ultima carta nel 1268, la città aprì le porte al nuovo rappresentante dello schieramento ghibellino, ragione per cui poi fu definitivamente punita dai vincitori.
La vicenda di Usiglia si riferisce all’anno 1267. Il re Carlo d’Angiò, reduce dalla recente vittoria sull’esercito ghibellino di Manfredi a Benevento, ha avuto dal papa il mandato di ristabilire un po’ di ordine tra le città toscane, naturalmente sostenendo la causa guelfa, ed obbligando i vari comuni all’obbedienza. Alcuni comuni, fieramente ghibellini, non ci stanno e si preparano a resistere. In Poggiobonizio si raccolgono molti ghibellini fuggiaschi, specie pisani. Il duca di Montfort, luogotenente di Carlo d’Angiò, decide perciò di assediare la città, prima che le forze ghibelline possano rappresentare un pericolo. Poco tempo dopo, accorre anche il re Carlo in persona, a sostenerlo con un proprio esercito. Quindi il re fa cingere la città con un alto steccato, onde evitare sortite e impedire i rifornimenti. Usa anche varie torri di legno al fine di portare offesa ai difensori entro le mura. Saccheggia nel frattempo Borgo Marturi e i borghi circostanti sparsi nelle campagne, arrivando a distruggere il borgo di Camaldo, di cui lascia in piedi solo la chiesa di S.Maria e il convento dei frati. Passa il tempo e in città i rifornimenti cominciano a scarseggiare. Pisani e Senesi non possono venire in soccorso, data la stretta sorveglianza dell’esercito di Carlo. Nel mese di dicembre in Poggiobonizio si comincia a capire che la resa è prossima e si dispera di poter resistere ancora. E’ a questo punto che una ragazza, di nome Usiglia, entra nella sala dell’adunanza generale e pronuncia, secondo il racconto del Pratelli, queste parole: “Voi sapete, o amati concittadini, come ogni speranza di resistenza sia per noi svanita e spinti dalla fame dovremo cadere in mano dei nostri avversari. Ancora qualche giorno e le nostre case saranno saccheggiate, i nostri prodi difensori incatenati, e le nostre donne fatte oltraggioso bersaglio alla sfrenatezza dei soldati nemici. Di fronte allo spettro di tante rovine una voce potente parla al mio cuore e mi dice di sacrificare volentieri la mia giovane vita per la salute di tutti. Forse il nemico a quest’ora pregusta la sua vittoria, forse il re Carlo dal suo padiglione eretto sul vicino poggio di Camaldo ha già inteso il nostro sgomento, e stimandosi già vincitore sovra di noi sfiniti dai patimenti, non può tenere molte sentinelle a guardia del campo e della sua tenda regale. Se voi me lo permettete, io in questa prossima notte, unitamente a una schiera dei migliori armati, uscirò fuori delle mura e piombando inaspettatamente sopra il campo nemico cercherò di uccidere il re che dorme nel suo padiglione. Questa, credetemi, è l’unica nostra speranza, sta a voi non contraddire a questa mia generosa ispirazione”.
Il discorso di Usiglia dà nuovo coraggio ai Poggibonizzesi, che fanno a gara a proporsi per l’impresa. Vengono scelti i migliori trecento guerrieri e di notte viene attuato l’attacco. Per distogliere l’attenzione del nemico si finge una sortita dalle porte di Asturpio e di S. Michele, verso il Vallone, mentre Usiglia con i trecento soldati esce dalla porta di S.Maria, davanti l’odierna S.Lucchese. I Francesi sulle prime vengono sorpresi, ma poi, accese le torce e illuminata la notte, si rendono conto del pericolo e si organizzano a difesa circondando il manipolo di Usiglia e uccidendo tutti i suoi componenti uno ad uno. Poggiobonizio è costretta ad arrendersi. Lo stesso re Carlo però rimane stupito del coraggio di Usiglia e dei suoi seguaci ed accorda alla città l’onore delle armi, limitandosi a pretendere un giuramento di fedeltà e ad insediare in città una piccola guarnigione.
Tre anni dopo però lo stesso re Carlo non avrà più pietà, vista la nuova presa di posizione dei poggibonizzesi in favore del partito ghibellino e sarà decisa la distruzione definitiva della città. E’ l’anno 1270.
Usiglia rappresenta, come donna, un’eccezione, in un mondo in cui la guerra, il potere, l’autorità erano di solito prerogativa maschile. La donna usava di solito altre armi rispetto alla spada o al pugnale: quella della seduzione (Cleopatra), della magia (Circe), della maledizione (Didone), dell’astuzia (Penelope). Spesso era oggetto di contesa o addirittura di guerra (Elena, Angelica…), ma raramente protagonista di guerra. In realtà la storia ci racconta anche di donne guerriere. Ma il fatto che se ne trovino tanti esempi in letteratura, nel mondo, cioè, dell’immaginario, ci fa capire che si tratta dell’eccezione che conferma la regola. Già Omero ci parla nell’Iliade delle leggendarie Amazzoni, cui fanno seguito, ad esempio, la Bradamante dell’Ariosto o la Clorinda del Tasso. Usiglia, a metà tra storia e leggenda, sembra più rassomigliare alla storica Giovanna d’Arco di Orleans.
Sulla figura di Usiglia non esistono documenti certi. Ne parlavano antiche cronache e storie di Poggibonsi andate perse, come racconta il Pratelli, che fa riferimento, per narrare la vicenda di Usiglia, ad un documento che era stato in possesso in passato, nell’800, del prof. Valentino Lisi. Si dà però una strana coincidenza: in un racconto di autore anonimo del sec.XIV° intitolato “La battaglia di Mont’Aperto” si racconta effettivamente di una Usiglia, senese, abitante nel terzo di Camollia, treccola, cioè venditrice di cose alimentari, che era venuta al campo di battaglia per rifornire le truppe. Vedendo lo strazio che i Senesi facevano dei Fiorentini, si narra che cinse 36 di questi ultimi con una lunga fascia dichiarandoli suoi prigionieri e salvando così loro la vita. Secondo quanto riferisce poi l’amico Mauro Minghi, il prof. W.Kurze, facendo ricerche sulla battaglia di Montaperti, avrebbe scoperto che tale Usiglia era accasata presso la famiglia senese dei banchieri Bonconti. Nel 1263 tali Bonconti furono però cacciati da Siena, avendo prestato soldi a dei fiorentini e sembra che tale Usiglia con la madre abbia trovato asilo proprio in "burgum iuxta Aelsae atque Staia in Podium nominatur Bonitio”. Non possiamo ovviamente affermare con certezza che si tratti della stessa persona. Anche se però il carattere deciso e battagliero dimostrato in occasione della battaglia di Montaperti parrebbe suffragare proprio tale ipotesi.
Franco Burresi
Immagini: una tavoletta di Biccherna che rappresenta l’episodio di Usiglia che cinge con la sua fascia alcuni prigionieri fiorentini per salvare loro la vita nel corso della battaglia di Montaperti.
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Pubblicato il 29 aprile 2021