Poggibonsi e le sue donne: la donna-angelo, ovvero la ''bella'' del paese
Nel giorno della festa degli innamorati, una romantica storia d'amore. Anche qui a Poggibonsi abbiamo avuto la nostra Beatrice
"Tanto gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta
ch'ogni lingua devèn tremando muta
e li occhi no l'ardiscon di guardare..."
Così Dante dipingeva nella "Vita Nuova" la sua Beatrice, donna, ma più ancora angelo, mandata infatti, a suo dire, dal cielo "a miracol mostrare".
Nel nostro piccolo, anche qui a Poggibonsi abbiamo avuto la nostra Beatrice, rappresentata da una certa Melchionna, vissuta nella nostra città nei primi anni del '400 e scomparsa, come Beatrice, anche lei prematuramente.
A cantare le sue lodi è un tal Domenico da Prato, nato nel 1389 e trasferitosi poi a Firenze, dove studia legge e frequenta l'ambiente letterario facente capo all’umanista Coluccio Salutati. Sempre a Firenze inizia la sua attività di notaio, che lo porta a spostarsi in vari centri della Toscana. Nei primi anni del '400 e fino al 1415 risiede a Poggibonsi, dove si innamora a prima vista della nostra Melchionna.
La incontra una prima volta sul Poggio Imperiale, "fuor delle mura del vago castello", poi la vede di nuovo "presso a quel fiumicello dove lo Staggia batte l'onda". Il nostro notaio, che ama nel tempo libero dilettarsi di letteratura, le dedica varie rime e soprattutto un poemetto di 159 ottave intitolato "Il Pome del bel fioretto".
E' un ammiratore di Dante, ma nelle sue opere appare forse più vicino, fatte le debite proporzioni, al Petrarca o al Boccaccio. Non è la prima volta che uomini di legge si cimentano nella poesia. Basti pensare alla cosiddetta "scuola siciliana" fiorita alla corte di Federico II, proprio nell'ambiente della cancelleria imperiale.
La trama del poemetto di Domenico da Prato prende lo spunto da un gioco, in cui uno dei protagonisti sceglie una postazione (il "pome"), dalla quale gli altri devono cercare di scalzarlo. A tale gioco, che si svolge su un prato fiorito (il "bel fioretto"), l'autore fa partecipare uno stuolo di giovani donne, sotto la guida della dea Venere e, guarda caso, della bella Melchionna.
Il gioco dà a Domenico il modo di esaltare le virtù della donna di cui è innamorato, mettendone in evidenza, in verità, a differenza di Dante, soprattutto la grazia nel vestire e la bellezza fisica ("le bionde trezze parean fila d’oro…").
L'amore di Domenico per Melchionna pare non sia stato corrisposto, in quanto sembra che questa sia andata in sposa ad un altro, come accaduto a Dante con Beatrice.
Si tratta comunque di un amore, quello di Domenico per Melchionna, un po' più prosaico e terreno, nonostante l’ambientazione del poemetto così idealizzata e l'aver scomodato divinità del calibro di Diana e Venere.
La nostra Melchionna in ogni caso, angelo o meno che fosse, deve essere stata veramente affascinante, come pure, forse, altre sue coetanee "madonne" della nostra terra.
Franco Burresi
Immagini: particolare della Venere del Botticelli; frontespizio e brano del "Pome del bel fioretto"
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Pubblicato il 14 febbraio 2021