Poggibonsi, il fenomeno dell'abbandono e la 'ruota degli esposti'

Alcuni erano abbandonati a Poggibonsi davanti alle chiese e poi mandati a San Gimignano tramite un vetturale, altri erano portati direttamente lassù e deposti nella ''pila'' apposita, spesso di nottetempo, o all'alba

 FRANCO BURRESI
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L’abbandono dei figli indesiderati fu un fenomeno molto diffuso fin dall’antichità, di cui le autorità non si curarono, almeno fino a Costantino, che si prese cura del sostentamento dei bambini abbandonati, e più ancora a Giustiniano, che punì l’infanticidio e quindi anche chi procurava la morte di un neonato con l’abbandono.

Ma il fenomeno degli “esposti”, o “trovatelli”, o “gettatelli” continuò nei secoli, numeroso, almeno fino alla fine del sec. XIX.

I motivi che spingevano ad abbandonare i neonati potevano essere vari, primo senza dubbio la povertà, che veniva accentuata dai periodi di guerra, di epidemie, di carestia. Molti esposti erano infatti figli di contadini, o braccianti, o piccoli artigiani. Ma spesso anche la perdita del marito o la morte della donna durante o dopo il parto spingeva la vedova o il vedovo all’abbandono, magari, a volte, con l’idea di “ritrovare” il figlio un giorno. Altre volte i difetti fisici del neonato, la cecità, il mutismo, erano la causa che portava alla tragica decisione. Molti poi i casi di ragazze-madri o di relazioni extra coniugali di un padrone con una serva, ad esempio. Altri ancora i casi di pellegrine romee o mendicanti forestiere che partorivano presso i pellegrinai o gli ospizi locali.

Anche Poggibonsi non fu immune da questa piaga sociale.

La ricercatrice Lucia Sandri in un suo bellissimo saggio ci informa che in media nel sec. XV giungevano da Poggibonsi all’Ospedale di S. Maria della Scala di S. Gimignano dai 4 ai 12 bambini abbandonati ogni anno. Alcuni erano abbandonati a Poggibonsi davanti alle chiese e poi mandati a S. Gimignano tramite un vetturale, altri erano portati direttamente lassù e deposti nella “pila” apposita, spesso di nottetempo, o all’alba, a volte nell’imminenza di una funzione religiosa per avere la certezza del ritrovamento.

Chi lasciava il neonato lo faceva furtivamente e scappava, magari per osservare da lontano, da dietro un angolo, il momento del ritrovamento. Qualche volta sul neonato abbandonato veniva trovato un piccolo segno di riconoscimento, un nastrino, una cifra ricamata, qualcosa che avrebbe potuto servire un domani ad un ritrovamento. Alcune volte venivano messe accanto al gettatello delle fasce o pezze, qualche moneta, un sacchettino di sale, quasi una richiesta di battesimo o un amuleto scaramantico contro le streghe e le malìe. I bambini venivano quindi assegnati dall’Ospedale a delle balie per l’allattamento. Si trattava generalmente di contadine, sparse nelle varie campagne circostanti. A Poggibonsi, ci informa la Sandri, esistevano nel sec. XV dalle 14 alle 30 balie. A loro veniva dato un compenso, il cosiddetto “baliatico”, che serviva ad integrare il reddito familiare. A riceverlo era di solito però il marito, il cosiddetto “balio”. La ricerca delle balie veniva fatta o per conoscenza diretta o, altrimenti, tramite banditura sulla pubblica piazza in giorno di mercato, come documentato infatti a Poggibonsi per l’anno 1415. In mancanza di balie si ricorreva al latte di capra.

Di alcuni esposti l’Ospedale veniva a conoscenza della paternità. La Sandri ci fornisce i dati precisi di alcuni esposti provenienti da Poggibonsi, desunti dal “Libro di bambini e balie del citato Ospedale:

·        1439, febbraio: “Maffia, disse che aveva nome la fanciulla [che] fu posta nella pila domenica mattina a terza o circa, a dì 28 febbraio, anno 1439. Arecolla una donna e uno uomo, dissono che la mandava don Agnolo di Macherone degli Squarcialupi. Arecò questi segni, cioè uno straccio di pezza lina e una pezza lana di tre pezzi, una fascia di guarnello di tre pezzi logora”.

·        1439, ottobre: “Una fanciulla fu posta nella pila mezzo di una mattina a dì 21 d’ottobre, anno detto ed era tempo d’uno anno o più, secondo el dire delle nostre donne. Non recò scritta come avesse nome, da poi a dì 28 ottobre mi fu detto [che] era figliuola di don Agnolo da Poggibonsi e che la detta fanciulla aveva nome Mela. Arecò più stracci di pezze line e lane”.

·        1450, agosto: una bambina, Doradeia, venne mandata dall’Ospedale di Poggibonsi a quello di S. Gimignano la notte del 9 agosto, avvolta in una “camiciaccia da uomo senza maniche”, tanto che “penò parecchi dì a riaversi” per il freddo. Il frate Bartolomeo di Poggibonsi che la mandò a S. Gimignano specificò che si trattava di una figlia di “uomo dabbene”, che andava curata bene e che l’Ospedale della Scala di Poggibonsi era disposto a pagare la balia e altre spese che potevano occorrere.

·        1489, marzo: “Bastiano ha nome uno bambino [che] fu posto in chiesa a dì 10 di marzo a ora di terza, venne da Poggibonsi, secondo ci fu detto. Aveva una polizza come aveva cinque mesi ed era battezzato ed aveva nome Bastiano. Dio lo faccia buono. Recò seco una pezza lana e una lina e una fascia, triste ognuna”.

·        1501, aprile: “Pasquino ha nome il fanciullo [che] ci fu messo nella pila a dì 8 d’Aprile 1501 a ore venti, venne da Poggibonsi e recò seco una pezza di lana, un pezzo di gonnellaccia trista e una fascia trista e uno sciugatoio. Iddio gli dia grazia e lo faccia buono. E’ figliuolo della serva di ser Benedetto Galgani”.

·        1502, aprile: “Tommasa ponemo nome alla fanciulla [che] ci fu posta nella pila sabato notte a ore sei di notte a dì 9 d’aprile 1502; ha con sé un poco di sale al collo e una mezza gonnelluccia di romagniuolo e una pezza lina trista e una fascia usata e uno sciugatoio. Ha giorni tre circa, venne da Poggibonsi, figliuola di una serva di Simone Galgani”.

·        1507, settembre: un bambino, Matteo Romolo, arrivò all’Ospedale “ignudo”, “come una bestia”, “nero come un monacino” per il freddo, “figlio di un ser Matteo di Pietro da Montecatini e della figliuola di monna Costanza di Giovanni da Calcinaia di Poggibonsi”

Dal sec. XV anche nelle nostre zone comparvero le “ruote” degli esposti, che in Italia erano state introdotte nel 1198 per la prima volta dal papa Innocenzo III. La ruota era un congegno cilindrico di legno, girevole, diviso in due parti, una interna, l’altra esterna, che permetteva di deporre il neonato senza essere visti. Facendo girare il congegno, il neonato passava all’interno, nelle mani di chi se ne prendeva cura. Accanto alla “ruota” c’era una campanella che veniva suonata per avvertire del fatto che lì c’era un bambino abbandonato.

Nel sec. XVIII a Poggibonsi si verificarono numerosi abbandoni.

Personalmente, facendo una ricerca limitata agli ultimi decenni, ne trovai traccia in archivio negli anni 1762, 1763,1767,1781, 1782, tutti neonati spediti con un vetturale a San Gimignano.

Ancora nell’800 esistevano a Poggibonsi varie “ruote” per gli esposti: una nel popolo di S.M. Assunta, prima nel Vicolo S. Gregorio, poi, dal 1845, in seguito ad un caso di infanticidio, se ne costruì una più comoda e moderna nella rimessa di certo Luigi Cappelli. Altre due ruote erano una a Staggia e una nel popolo di Cinciano.

Alla ruota era addetta una levatrice, che aveva precise consegne: rilevata dal suono della campanella la presenza di una creatura, ella doveva avvolgerla nelle pezze e nelle fasce e prestarle la necessaria prima assistenza, dopodiché doveva comunicare al deputato a ciò preposto il sesso e l’età approssimativa o certa del neonato; una volta che le erano state restituite le fasce, doveva lavarle perché potessero servire nuovamente in altri casi di bisogno; se le fasce erano consunte, la levatrice doveva farne comunicazione al Sindaco che avrebbe provveduto ad acquistarne di nuove. Se una creatura veniva portata al locale di giorno o di notte “senza mistero” da chiunque, la levatrice doveva prenderla, rilasciandone, ove richiesto, regolare ricevuta. Ogni mattina la levatrice, ove non fosse suonato il campanello, doveva recarsi “di buonis-sima ora” alla Ruota a verificare che non vi fossero creature abbandonate. Doveva inoltre tenere chiusa a chiave la stanza a cui corrispondeva la Ruota. Aveva il dovere di non palesare ad alcuno il ritrovamento dei bambini. Doveva infine agire in armonia con il “deputato degli esposti” e prendere di concerto con lui tutte le decisioni che riguardavano il buon andamento dell’istituzione.

Ai neonati venivano assegnati di solito cognomi indicanti la situazione sociale (Povertà, Innocenti…) oppure riproducenti il nome stesso (Luigi Luigetti, Enrico Enrichetti, Giocondo Giocondi ecc...). Il Regolamento per la Ruota degli esposti si era reso necessario anche per evitare il ripetersi di alcuni episodi non chiari circa la gestione dei bambini abbandonati, accaduti nel corso del tempo.

Il 9 luglio 1864, ad esempio, il Rettore degli Spedali Riuniti di Siena spedì una lettera al Deputato agli Esposti del Comune di Poggibonsi nella quale sospettava un traffico illecito di minore.

Questo il contenuto della missiva: “Questa mattina, con molta sorpresa, in luogo del gettatello Luigetti Luigi che deve qui riportarsi dalla nuova tenutaria R., si è presentato a questo Stabilimento un tal Luigi F. di codesto Luogo qualificandosi Padre legittimo del suddetto Bambino, e facendo richiesta di recuperarlo da questa Famiglia Gettatella. Un tal fatto dimostra a tutta evidenza la frode che si fa in codesto luogo in fatto di esposizione di figli legittimi, congiunta, mi dispiace di dirlo, a connivenza da parte sua. Non potendo, né dovendo tollerare da questa Direzione a forma degli ordini e circolari vigenti, devesi render conto di ciò al Superior Governo per quelle misure e coercizioni che crederà adottare in proposito”.

Il Deputato agli esposti di Poggibonsi si giustificò dicendo che lui era all’oscuro di tutto. Dal Rettore arrivò allora una nuova lettera nella quale, mentre si accettavano le scuse del Deputato, si pregava il medesimo di prestare maggiore attenzione in futuro. Il Rettore, che aveva fatto qualche indagine, aveva scoperto che la R. era parente del F. e ciò poteva spiegare l’accaduto. Si precisò che il bambino non poteva assolutamente essere affidato a persone che abitavano nello stesso luogo dei genitori e si rimarcò “la circospezione che bisogna avere sempre nella consegna e cessione di Esposti per troncare ogni via ai Genitori che li abbandonarono di giungere a conoscere la loro dimora e vederli a loro beneplacito”.

I bambini mandati a San Gimignano erano accompagnati da una lettera del Sindaco del genere della seguente: “Per mezzo della custode di questa Ruota invio a codesto Spedale un bambino di sesso femminile dell’età di circa 2 mesi che alle ore 5 odierne del giorno 29 stante fu deposto in questa Ruota dei Gettatelli. La detta bambina, dopo essere stata battezzata col nome di Angiola Michelina e il cognome Povertà, fu presentata a questo Uffizio di Stato Civile per la debita ricognizione…”.

Nell’800 era ancora la povertà la causa principale degli abbandoni, come si evince dalle numerosissime richieste di “sussidi di latte” che arrivavano al Comune da parte di contadini, braccianti, calzolai, barbieri, piccoli artigiani con allegato certificato medico.

Continuavano però anche gli abusi. La ruota fu così abolita a Poggibonsi nel 1898, come un po’ ovunque in quel periodo, per porre fine ad un costume secondo il quale si tendeva ad abusare di tale istituzione, come già denunciato dal Libero Cittadino, giornale senese, del 10 maggio 1866.

(V. anche Burresi: “La croce e l’albero”; Burresi-Minghi: “Poggibonsi al tempo di Pietro Leopoldo, Napoleone e Garibaldi”).

Franco Burresi

Foto copertina: ruota dello Spedale degli Innocenti a Firenze. Immagini interne: la prima pagina del “Libero Cittadino” che affronta il problema degli esposti; una richiesta di “sussidio di latte”.

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Pubblicato il 13 maggio 2021

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