Poggibonsi, un furto e un caso diplomatico

Fra le tante iniziative prese dal granduca Pietro Leopoldo per fare della Toscana uno stato all'avanguardia a livello europeo vi fu anche il tentativo di migliorare le comunicazioni, sia all'interno del Granducato che con gli altri Stati

 FRANCO BURRESI
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Fra le tante iniziative prese dal granduca Pietro Leopoldo per fare della Toscana uno stato all’avanguardia a livello europeo vi fu anche il tentativo di migliorare le comunicazioni, sia all’interno del Granducato che con gli altri Stati. Fu incrementato  un sistema di posta che prevedeva lungo i principali itinerari una serie di stazioni postali dove fermarsi, rifocillarsi, cambiare i cavalli per poi ripartire. Purtroppo, maestri di posta, garzoni, vetturini postali non rappresentavano il massimo dell’affidabilità e della correttezza. Sono moltissime infatti le lagnanze contro tali individui da parte di passeggeri che subiscono maltrattamenti, scortesie, intimidazioni o anche di peggio. Due volte Pietro Leopoldo transita da Poggibonsi e due volte annota nei suoi appunti il carattere rissoso dei vetturini poggibonsesi.

Nel 1776/78  rischia di scoppiare un caso diplomatico per colpa del solito “Baco”, al secolo Giuseppe Marchetti, vetturino, che abbiamo già trovato protagonista di altri episodi di cronaca. Ѐ il 4 ottobre 1776 quando giunge alla stazione di posta di Poggibonsi il corriere straordinario francese di Tolosa monsieur Pierre Viè, il quale chiede di cambiare i cavalli. In attesa che l’operazione venga svolta e dell’arrivo di altri corrieri suoi amici, tra cui il corriere ordinario di Francia, visto un muretto in luogo riparato all’interno della stazione postale, decide di distendervisi sopra e schiacciare un pisolino. Quando riapre gli occhi, nota però con suo grande disappunto che la borsa di seta verde che teneva al fianco e che conteneva nove luigi d’oro semplici ed uno doppio non c’è più. Il povero corriere non sa come fare. Lo aiuta il corriere francese ordinario, sopraggiunto nel frattempo, a riprendere il viaggio, altrimenti, come dice lui,  sarebbe stato costretto a mendicare  per tornarsene a Tolosa.  Del fatto viene a conoscenza però in seguito il console francese a Genova, che  il 30 luglio del 1777  spedisce una lettera al Vicario di Colle, con la quale chiede gentilmente a “monsieur Vicario et cher amy” di indagare  sul furto perpetrato,  fornendo tutti i dettagli del caso.

Le indagini partono e non è difficile individuare il colpevole, anche perché, ingenuamente, il nostro “Baco”  aveva nel frattempo fatto vedere i luigi d’oro ad alcuni amici; poi aveva riscattato i gioielli della moglie depositati al Banco dei Pegni, ed infine, cosa veramente eccessiva per un tipo come lui, si era comprato degli stivali nuovi. Tutte cose che con le misere entrate di vetturino non avrebbe sicuramente potuto permettersi. Baco, messo alle strette, confessa e parte, su querela del caposquadra del Tribunale di Colle Giuseppe Porri, un nuovo procedimento penale a suo carico. Nuovo perché appena due anni prima, mentre trasportava da Poggibonsi a Colle due patrizi colligiani, era sparita, non si sa come, una spada dal manico d’argento appartenente ad uno dei due passeggeri e questa era riapparsa miracolosamente solo quando la moglie di Baco si era decisa a riconsegnarla per evitare l’arresto e la detenzione del marito.

Certo, aveva ragione Pietro Leopoldo nel notare il brutto carattere dei vetturini poggibonsesi, ma c’è da dire che la miseria non scherzava a quei tempi per le vie del paese, e portava spesso gli elementi più fragili e predisposti a prendere vie sbagliate.

Franco Burresi

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Pubblicato il 3 luglio 2022

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