Sei inglesi ai ''confini del mondo'': Poggibonsi e l'albergo ''Aquila Nera''
E' il marzo del 1886 o 1887, quando sei inglesi in viaggio verso Volterra scendono alla stazione di Poggibonsi e vanno ad alloggiare all'albergo Aquila Nera
E’ il marzo del 1886 o 1887, quando sei inglesi in viaggio verso Volterra scendono alla stazione di Poggibonsi e vanno ad alloggiare all’albergo Aquila Nera.
Il nome un po’ strano della città, la piccola stazione, le strade un po’ anguste, mettono un po’ di ansia ai viaggiatori, che trovano alla fine ristoro all’ “Aquila Nera”, diventando però oggetto di curiosità del personale dell’albergo e, il giorno dopo, alla partenza, sotto la pioggia, di tutti gli abitanti del paese.
Questo il diario di viaggio:
“...Eravamo un’ allegra comitiva di sei persone; con Mr. e Mrs. L, e due nostri giovani amici in viaggio per il sud che si erano uniti a noi, ansiosi di vedere i resti etruschi di Volterra. Avevamo preso il treno della sera da Firenze, con l'intenzione di dormire a Poggibonsi, la città di posta più vicina a Volterra. Per due ore fummo di ottimo umore, poi le nostre risate divennero meno frequenti, un'altra mezz'ora e un silenzio mortale cadde su tutti noi - anche sul signor L. ; le battute perdevano tutta la loro spontanea leggerezza e cadevano nel vuoto. Ruppe il lungo silenzio chiedendo se il luogo sconosciuto con il nome impronunciabile si trovasse alla fine del mondo.
Se è così - dissi - preparati in fretta, perché noi siamo quasi arrivati.
Pudgi-bunsi! Pudgi-bunsi! - Ripeté Emily - che nome strano!
Poggi-bonsi - corresse T. - Nel Medio Evo si chiamava Podium Bonitii. La montagna dietro noi si chiama ancora il Poggio-Bonizi. In quel momento le ruote stridettero sulle rotaie, e con un ultimo stanco soffio il nostro treno si fermò alla stazione di Poggibonsi. I nostri compagni di viaggio erano ben abituati all'ordinaria routine del viaggio continentale, cioè a un cambiamento costante di hotel in hotel, uno un po’ più lussuoso dell'altro, ma questo viaggio per strade secondarie era una nuova sensazione, e il signor L. ottenne più conferme della sua idea che Pudgi-bunsi, come insisteva a chiamarlo, era alla fine del mondo. Nessun omnibus, niente taxi e nemmeno facchini in stazione! Trovammo uno dei poveretti cenciosi che si trovano ovunque in Italia disposto a portare i nostri bagagli e a mostrarci la strada per la locanda dell'Aquila Nera (Black Aquila).
Questa è davvero un'aquila molto nera! - sospirò la signora L - raccogliendo le gonne intorno a sé mentre attraversavamo un passaggio di pietra oscura. La "Black Eagle" evidentemente non era abbastanza abituata all'arrivo di sei inglesi; nel complesso sembrava un evento di straordinaria importanza. Il padrone di casa, lo stalliere, e tutte le donne dell'establishment ci stavano guardando. Ma il corpulento oste inviò velocemente la sua donna a preparare candele, acqua calda e lenzuola, ed ebbe il campo d'ispezione tutto per sé. Presto tre donne ricomparvero, ciascuna portando un alta lucerna - che in Toscana sostituisce le candele - che consisteva in una lampada alta di ottone con tre piccoli fuochi, e alcun dispositivi appesi intorno con una catenella per accendere e spegnere. Seguimmo queste portatrici di lampade dagli occhi scuri (una quasi cadde, al piano di sopra, nella sua ansia di guardare dietro di sé i "forestieri") in un'ampia sala con un enorme camino aperto che sembrava un medievale residuo di Podium Bonitii. Qui le donne misero le loro lucerne su un tavolo abbastanza grande che ci poteva cenare l'intera Società Archeologica, e poi si misero senza riserve ad osservarci. Camminarono deliberatamente intorno a noi, esaminandoci minuziosamente, rimarcando che "quella bionda" (la signora L) era "tanto bellina”. La morbida pelle di foca dei mantelli attirava la grande ammirazione e vennero una dopo l'altra a toccarla . A questo punto il corpulento padrone di casa arrivò al piano di sopra, e di nuovo mise la donna al lavoro. Per prima cosa accesero un fuoco ardente di fascine nell'angolo del camino, che era quasi una stanza a sé, e rimasero tutti piuttosto sorpresi dal fatto che noi preferivamo il fuoco all'uso degli scaldini, come si fa in Toscana. Quando la luce cadde sulle mura della stanza, vedemmo che queste erano ornate con affreschi arcaici del paesaggio dell'Egitto antico: c'erano piccole piramidi e gigantesche sfingi, con cammelli grandi quanto gli alberi di palme accanto a loro. Dopo cena avemmo un colloquio con il "maestro di cavalli", un ex postiglione di diligenze, che, dopo un po’ di contrattazione, ci promise una carrozza con una coppia di cavalli, oltre a un pony-chaise, per portarci a Volterra e ai Lagoni, e per tornare, il tutto in tre giorni.
Martedì mattina
Oh, miserabile risveglio! La pioggia scrosciava contro i vetri delle finestre. Nuvole spesse e pesanti stazionavano così basse sulle cime delle montagne che sembrava che i camini delle case sparse sui fianchi delle colline potessero quasi forarle. Ci incontrammo nella Sala Egizia, come chiamavamo la sala da pranzo “arcaica”, con le facce lunghe, ma decidemmo che un viaggio sotto la pioggia non poteva essere peggiore di una giornata oziosa a Poggibonsi, e così pensammo di partire nonostante il brutto tempo. Il nostro coraggio, in questo senso, deve, ne sono certo, aver fortemente confermato l'idea italiana circa l’eccentricità degli inglesi. Hark! Un calpestio di zampe di cavalli e uno schiocco di fruste. Ci precipitiamo alla finestra per esaminare la nostra carrozza, coppia e carrozzina. Ahimè! Il mondo è pieno di delusioni: la civiltà non era, secondo noi, arrivata a Poggibonsi. C'era una carrozza che doveva essere certamente la prima della sua serie. Era un affare molto alto e stretto, con un cappuccio a mo’ di montagna. La carrozza era di legno, dipinta di un rosso vivo, molto attenuato però dal fango accumulato nel tempo. Aveva cuscini di stoffa blu duri, con suggestive falene color ruggine. I due cavalli erano robusti, avevano criniera fluente, con piccoli nodi anch’essi fluenti.
Avevano il collo lungo, lunghe teste e code corte. La mancanza di code proprie era compensata dall'aggiunta di lunghe code di volpe, legate di giallo, che penzolavano dalle loro orecchie. Le redini erano di corda rossa, con curiose nappe e mazzi di frangia qua e là. Ma il pony-chaise! Era un calesse della descrizione più comune: un paio di aste con un sedile di legno nel mezzo. Una rete in spago serviva per appoggiare i piedi e sostenere eventuali borse o pacchi posti sotto il sedile. E il pony! Un povero pidocchino con la testa pendente e una coda di topo dritta, le cui ossa sporgenti potevano rappresentare un soggetto per un anatomista.
Quel pony non può percorrere ottanta miglia in tre giorni - gridò il signor L.
Se il signor inglese avrà la bontà di provarlo, lo troverà del tutto adatto, farebbe ottanta miglia in un giorno se servisse - rispose il postiglione.
Come alcuni dei suoi migliori, quindi; non è così come sembra - rise Mr. L - spero che nessuno della Humane Society ci veda, tutto qui.
Così dicendo, i due gentiluomini, avendo caricato le quattro signore il più comodamente possibile nella carrozza, procedettero a farsi martiri sfidando le intemperie del calesse. Tutti gli abitanti di Poggibonsi guardavano dalle finestre e si meravigliavano! Dopo un viaggio di mezz'ora, il signor L. gridò allegramente:
La fortuna aiuta i coraggiosi!
Si intravedeva un po' di cielo azzurro. I nostri ombrelli gocciolanti furono chiusi, aprimmo speranzosi i nostri occhi osservando un minuscolo puntino blu che, ahimè, presto, si offuscò di nuovo. Il nostro coraggio non aveva ancora ottenuto il favore della dea volubile. La pioggia si era interrotta, ma solo per cambiare in neve mentre salivamo”.
Franco Burresi
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Pubblicato il 23 gennaio 2022